La vita come un frammento di eterno nell’infinito bianco dell’Antartide
Ernest Shackleton, un nome incastrato nei ghiacci dell’Antartide, come un’incisione primordiale sul muro del tempo.
E c’è il cinema, che spesso si inchina alla verità di quelle storie impossibili da credere eppure tangibili, fatte di ghiaccio che non si scioglie neppure al calore del mito.
Il cinema, come la letteratura, ha osservato Shackleton con lo sguardo obliquo di chi sa che l’uomo non esplora per il luogo, ma per ciò che il luogo gli rivela di sé.
Non c’è bisogno di ricordare ogni dettaglio dell’Endurance, nome troppo perfetto per essere casuale. La nave che non è nave, ma simbolo di un desiderio irriducibile. Quando rimane intrappolata – o forse quando Shackleton e i suoi rimangono intrappolati – la scena si espande in un fuori campo infinito.
L’Antartide non è sfondo, è protagonista, è il non detto, il vuoto che urla. Come in ‘The Thing’ di Carpenter, l’isolamento e il ghiaccio divorano tutto tranne l’anima; o come nei romanzi di Jack London, dove il bianco della neve è insieme rifugio e minaccia.
Cosa resta della filosofia al limite del mondo?
Shackleton sembra rispondere con ogni suo passo tra i ghiacci: resta la decisione, resta il gesto che non ha bisogno di parole.
È un cinema muto, quello della sopravvivenza. Una narrazione senza dialoghi, ma con un montaggio che alterna disperazione e speranza, come in una sequenza di Eisenstein.
E forse, Shackleton è il personaggio che Werner Herzog avrebbe voluto filmare. C’è la stessa ossessione per l’impossibile, per il confronto con un paesaggio che non accetta compromessi, che schiaccia e ispira. È ‘Fitzcarraldo’, ma senza la follia estetizzante. È ‘Aguirre’, ma con una bussola morale, che non si perde mai.
Ci sono libri, ci sono film. Ci sono le parole che tentano di trattenere Shackleton e il suo viaggio. Ma lui sfugge, come il tempo. Nei romanzi e nei documentari, il suo sguardo sembra sempre altrove.
In ‘South!’, il resoconto della spedizione, scrive come se volesse lasciare tracce, non per sé, ma per chi verrà dopo. È un testamento filosofico in forma narrativa: vivere significa lasciare segni, sapendo che saranno riscritti dal vento.
Pensiamo a come il cinema, da ‘The Endurance’ a ‘Shackleton’ con Kenneth Branagh, tenta di catturare quell’uomo e il suo equipaggio. Ogni volta si sente che manca qualcosa, che Shackleton non è lì, ma sempre oltre. Il ghiaccio lo ha preservato e insieme lo ha cristallizzato in una metafora: l’uomo che guarda avanti, nonostante tutto.
Il ghiaccio dell’Antartide non odia l’esploratore. Lo sfida, come un antico avversario in un poema epico. È la stessa natura, maestosamente indifferente che abbiamo visto in ‘Into the Wild’, dove il paesaggio non è nemico ma diventa specchio; o in ‘Grizzly Man’, dove Herzog svela l’ambiguità della wilderness. Shackleton non cerca di dominare la natura, ma di attraversarla sentendosene parte.
Noi siamo gli spettatori, intrappolati nel calore delle nostre vite, incapaci di capire davvero cosa significhi quella marcia interminabile verso la salvezza. Forse, però, possiamo intuire. Nei fotogrammi di un film, nelle righe di un libro, nella traccia lasciata da una nave che non c’è più.
Shackleton è il cinema stesso, è il montaggio che dà senso al caos, che trasforma il fallimento in epica. Non importa che non abbia mai raggiunto il Polo Sud. Non importa che l’Endurance sia andata persa.
Ciò che conta è che lui non si sia mai fermato. E che in quel viaggio, attraverso i ghiacci, abbia trovato l’unico significato possibile: continuare.
Ecco, Shackleton è ancora lì, tra i ghiacci. E noi dovremmo essere con lui, in ogni frame delle nostre vite…
Autore Piero Capobianco
Piero Capobianco, redattore per diverse testate sportive e di costume. Si occupa di temi riguardanti la storia di Napoli con particolare riguardo per la lingua e la musica. Ha ideato e conduce per Terroni Tv 'La lingua napoletana' e 'Napolizzando'. Collabora col professor Massimiliano Verde, Presidente di Accademia Napoletana, e il Maestro Lello Traisci musicista ed etno-antropologo. Ha studiato Filosofia presso L'Orientale di Napoli.