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Questi fantasmi

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Fantasmi


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I fantasmi non esistono, li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi.
Eduardo De Filippo 

Sono ovunque e li vedi. Ti sfiorano e non te ne accorgi. Se vogliono, si confondono con un fruscio, un profumo, un tocco. Hanno l’anima arresa al vuoto, il silenzio come fardello, un cielo che non sanno vedere dal basso. Un ronzio, un capogiro, la mano che suda, la finestra che scricchiola. Sono nell’immaginario come una ferita aperta, si portano appresso anni di dolore e hanno l’alito del vento che morde l’erbaccia.
Anonimo

Chi sono i fantasmi?

Nella comune e secolare tradizione letteraria e nella cultura popolare, essi rappresentano il mistero assoluto. Il loro fascino sull’immaginario collettivo è forte, vibrante e ancora presente. Spiriti inquieti, spiriti benigni che dimorano tra noi. Anime in pena, anime fatate, portatori di sventura, luci infinite.

Un enigma irrisolvibile per la comune e mortale umanità: in effetti dovremmo morire per sapere qualcosa in più sulla loro esistenza. Un controsenso che arcaicamente ci trasciniamo nel delirio delle nostre quotidianità.

Per molti la loro presenza, fin dalle culture indigene pre-civilizzate, è una sorta di archetipo che manifesta il tentativo dell’uomo di relazionarsi all’ignoto per definizione, ovvero la morte e l’Aldilà.

Noi dobbiamo credere ai fantasmi per restare eterni e sperare ancora. Un affascinante impegno che non merita una risposta decisa: credere in loro è depotenziarne l’assolutezza di ogni verità, riconducendone il mistero alle maglie delle facoltà umane, se non alla razionalità quanto meno all’immaginazione. Narrare di loro, spesso, richiama l’architettura della fede e dell’inconscio.

Evitando implicazioni di natura psicoanalitica, dove il fantasma acquista la prerogativa di una forza psichica, e mettendo la parte le origini del termine nel pensiero greco, che rievocano il phantasma di Platone, termine che stava ad indicare la “copia di copia” o simulacro, dare immagine e senso alla morte, e pensare ad uno “spazio terzo” di mediazione fra noi e l’ignoto, è un tentativo di ricondurre l’alterità allo scibile.

Morte e mistero sono la vita e la non-vita, la conoscenza e la non-conoscenza. Così la morte assume un nuovo significato e, soprattutto, apre un varco tra la realtà e l’irreale. La porta che alcuni aprono già in vita.

Siamo lì a guardarci, ognuno al suo posto, uno schermo in sottofondo. La parola è muta, il contorno è l’ombra di una luce fioca. Guarda la sedia come se fosse ipnotizzata dal nulla, lui muove felpato i suoi occhi stanchi su un libro che lo annoia. Fino in fondo bisogna andare, rivoltarsi nella nausea che vomita sulle pareti. Anni di vita insieme, con il cuore che strappa i giorni del calendario. È una condanna questa vita, Le catene non fanno rumore, l’uno ha paura dell’altra, lo specchio riflette quello che entrambi sono: una coppia di fantasmi.
Anonimo

Sui fantasmi rendiamo sensibile ciò che per natura e condivisa definizione non può essere legato al dominio dei sensi. Neutralizzare la paura dell’ignoto è il primo compromesso: non si tratta di negare la possibilità di eventi che si sottraggano da spiegazioni e risoluzioni di tipo logico-deduttivo.

Diventa banalmente normale vivere ed accettare la tentazione di preferire risposte suggestive e intriganti piuttosto che altre, giungendo alla contraddizione vistosa di rendere possibile l’impossibile. La finestra dell’inconscio si apre sull’irragionevole mostrandosi ampiamente reale e poco arcaica.

Il subbuglio dell’essere è folklore, il sussulto dell’intelletto è la chiave per varcare la soglia e aprirsi al percorso nuovo. Così parliamo ai fantasmi, sentiamo le loro voci, siamo inseguiti dalle loro facce, gli odori ci opprimono.

L’ombra e la visione si intersecano: dunque la morte non è un’idea astratta, ma è un insieme di immagini e di suoni, di voci e di volti. È la morte che si fa vita e con essa comprendiamo i valori della nostra esistenza.

Sto scrivendo, le parole sono bianche. Cosa sono questi segni che ho sulla pelle e perché non sono sulla pagina? Quanto è indecifrabile il pensiero umano, quanto è infallibile l’anima che mi sta dicendo cosa io non sarò mai.

Scrivo e mando baci a chi decifrerà questi segni. Qualcuno mi scoprirà, leggerà nel segreto delle mie intenzioni quello che volevo fare da grande. Ora scrivo di me parlando degli altri: ho visto le loro facce in questi occhi appannati, li ho resi umani con i loro difetti, li ho resi veri nelle loro certezze ambigue. Poi mi lasceranno lo so, mi lasceranno andare: i fantasmi sono così, ti assediano e quando sei sgretolato, soffiano sulla tua cenere.

Il fantasma è la soluzione al vuoto. Ci apre il dopo e così che accettiamo il mistero. A noi non occorre spiegare e comprendere, a noi serve affermare che esistono per dare il senso a quello che non sappiamo. Solo così capiamo l’impossibile e questo approccio diventa mito irrisolto ma duraturo.

Così la morte e la nascita diventano le due fasi chiave del nostro passaggio sulla Terra. Una ne segna l’inizio, l’altra la fine, a meno che non costituiscano entrambe una transizione della coscienza da un piano d’esistenza a un altro. Prepararsi ad ogni transizione ci consente la conoscenza che arriva per gradi. Senza avvolgere di mistero infetto – superstizione e paura – ma permeato dal Mistero di ogni Tempo. E passano gli anni che il corpo risente, l’anima no, è una guerriera.

È inciampato pure questa notte. Ora ha un livido sotto gli occhi. Domani deve tornare il medico, ha bisogno di cambiare la cura. Si dimentica le cose, la memoria è buia. Scalpitano gli occhi, vacui vanno veloci dove gli altri non sanno. Era un uomo immenso, ora è piccolo, più piccolo di tutti.

Si ricorda solo di lei che è andata via troppo presto. Ha un biglietto nella tasca dei pantaloni, parole che non lo abbandonano mai e sono le uniche che ricorda da sempre:

Saremo sempre uniti, io e te.

Ora lui è solo in questa prateria di visi, silenzi e mani che lo stringono. Quanti fantasmi nella sua vita, quante ombre che lui non riconosce più.

Durante la nostra vita noi, per quanto mai abituati, viviamo numerose morti o transizioni. Ognuna necessita distacco, accettazione e adattamento ad un nuovo modo di vivere, a una nuova comprensione. Dobbiamo imparare a formarci ed a non esitare. Siamo di passaggio ad ogni stato. Vulnerabili nella invulnerabilità degli eventi. Capendo che la morte è sempre separazione: momentanea o eterna che sia.

Dovremmo educarci ad avere una visione più intima e spirituale: ridurre lo spazio al mondo dei viventi e vivere l’invisibile. Perché alla fine siamo noi questi fantasmi. In questa vita o nellialtra.

Ho avuto una vita da uomo prima di essere una lumaca. Avevo una libreria grande come questa sala d’aspetto. C’erano tutte le vite di questo mondo racchiuse in quegli scaffali.  Poi la luce si è spenta e ho deciso di che fosse giunto il momento di annullare tutto compreso me stesso. Ho un nome che conosco solo io e mille buste che sono la storia di chi non sono. Passo tra la gente e li vedo scansarsi: io sono un fantasma ma loro mi calpestano nell’indifferenza. Meglio così, torno nel mio buio, nella mia sala d’aspetto a strisciare nel ricordo di quei libri che erano la vita di tutte le vite.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.