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Quando scomparvero gli ultimi bambini felici

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Oggi è un giorno tristissimo, un giorno che ancora ripercuote terribili effetti su generazioni intere, e il mondo deve ancora riprendersi da un trauma e dalla perdita di un bene e un valore insostituibile: oggi è il triste anniversario del giorno in cui gli ultimi bambini felici scomparvero.

Era nell’aria, era destino, era scritto nell’ordine delle cose, e avvenne.

Il 12 febbraio di 25 anni fa uscì l’ultima striscia dei Peanuts. Da quel giorno mai più Charlie Brown, Linus, Schroeder, Patty Peppermint e anche Snoopy.

Ma lasciamo perdere il dramma che abbiamo vissuto noi che c’eravamo; c’è chi sta peggio e non se ne può rendere conto.

Parlo di quelle generazioni tristi che non li hanno conosciuti, che non hanno vissuto le loro storie, che pensano siano soltanto delle facce da usare per un meme o un buongiornissimo.

Vi compiango.

Con i Peanuts noi abbiamo vissuto la loro stessa vita, felice e… senza Internet.

Non ne avevano bisogno. E questa è stata la loro fortuna. Hanno vissuto 50 anni senza avere necessità di connessioni, di mostrarsi, di esibirsi. Avevano i telefoni da casa, con la cultura che passava per i libri, i giornali e la curiosità genuina.

Charlie Brown non avrebbe fatto copia – incolla per scrivere un tema; Linus non avrebbe rubato una frase motivazionale da un post su Instagram per fare colpo; Schroeder non avrebbe mai suonato Beethoven senza sapere chi fosse davvero.

I Peanuts non prendevano in prestito emozioni dalla rete: le vivevano, le costruivano. Oggi voi della generazione X, Y, H2O o che vivete di video e reel non sapete che cosa era.
E noi, leggendo, facevamo lo stesso.

Ogni striscia era un insegnamento, un momento di empatia e non solo divertimento. Non avevano bisogno di urlare per farsi capire, né di battaglie virali per esistere. La loro forza stava nella semplicità e nella profondità di ogni vignetta, come piccoli spaccati della nostra stessa anima.

Oggi, invece, siamo sommersi da contenuti che ci passano davanti senza lasciar traccia. Emozioni in prestito, sentimenti rubati, meme che spacciano saggezza senza cuore. I Peanuts erano altro: erano un manifesto della cultura, della curiosità, del vivere il mondo con occhi veri, non attraverso uno schermo.

Si incontravano a casa, nei cortili, per strada. Non servivano notifiche o inviti formali: si cercavano perché avevano qualcosa da dirsi, un gioco da inventare, una domanda da fare. La loro compagnia non era un passatempo, ma un bisogno reciproco, autentico.

E Snoopy e Woodstock? Non erano semplici contorni o macchiette comiche, ma parte viva di quel mondo. L’uno sognatore e avventuriero, l’altro piccolo ma insostituibile, rappresentavano una fantasia che non scappava dalla realtà, ma si intrecciava con essa.

Consentitemi una citazione anche per Mafalda, durata troppo poco ma intensa come pochi. Anche lei non è un meme, anche se qualcuno ha provato a ridurla a questo.

Mafalda era la voce tagliente di chi non accettava le storture del mondo, di chi faceva domande scomode quando tutti si rifugiavano in risposte facili. Non era solo una bambina, ma uno specchio della nostra coscienza. E come i Peanuts, ci parlava di noi senza bisogno di filtri o semplificazioni, con quella forza che solo i grandi personaggi riescono a trasmettere.

La grandezza di Charles Schulz, il loro creatore, è stata questa: non farli cambiare mai. Generazione dopo generazione, i Peanuts sono rimasti fedeli a sé stessi, ai loro giochi e alle loro emozioni, senza mai piegarsi alle mode o ai tempi.

I loro problemi, piccoli e universali, erano quelli di ogni bambino che cresce, e la loro forza stava nell’essere veri. Oggi, molte di quelle emozioni si demandano a uno smartphone, a un video, a un algoritmo. Ma loro, no: vivevano tutto in prima persona, e ci insegnavano a fare altrettanto.

E allora ricordiamoli così: bambini felici in un mondo che, anche nei suoi dolori, sapeva ancora parlare la lingua della bellezza. Un mondo che, se vogliamo, possiamo ancora provare a ricostruire.

Se avete figli, pensate ai Peanuts, fateglieli leggere o, meglio ancora, rileggiamoli tutti insieme.

Concludo con un mio personale grande rammarico: Charles M. Schultz, non ha vinto il Nobel per la letteratura. Lo avrebbe meritato per tutti i cinquant’anni con cui ha condiviso il suo genio con il mondo insieme alle sue creature. Propongo di assegnarglielo consegnandolo a Charlie Brown e Snoopy.

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.