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Quali danni ti sta causando lo smartphone?

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Riflessioni su una civiltà che ha dimenticato di ricordare

Un tempo sapevamo i numeri a memoria. Il nostro. Quello di casa. Quello dell’idraulico, del medico di famiglia, del compagno di scuola.

Bastavano una cabina telefonica e due monete. Bastava un’agendina nella tasca del giaccone. Bastava un nome scritto bene. Oggi, alla prima distrazione, siamo niente.

Fermati un attimo. Immagina la scena. È notte. La macchina si ferma. Il cellulare è scarico, o cade e si rompe. Passa la macchina di un buon samaritano e ti offre il suo cellulare per chiamare chi vuoi.

Ti guardi attorno, sei da solo. E ti accorgi che non puoi fare nulla. Non perché non ci sia nessuno, ma perché tu non sai più chi chiamare.

Non è retorica. È esperienza comune.

Quanti numeri conosci a memoria oggi? Due? Uno? Nessuno? Hai mai provato a chiedere a un ragazzo di diciott’anni il numero dei genitori? Ti guarda come se gli avessi chiesto l’indirizzo della luna.

Ma non finisce qui.

Non sappiamo più orientare una cartina. Abbiamo la bussola nei telefoni, ma non sapremmo distinguere il nord neanche se fosse scritto in stampatello a terra. Se Google Maps sparisse per un giorno, milioni di persone si ritroverebbero immobili, bloccate come formiche sul bordo di una mappa mai vista.

E la carta?

Le lettere scritte a mano, i bigliettini d’auguri, le agende cartacee, le liste della spesa con la calligrafia storta. Tutto sparito. Chi scrive oggi qualcosa su carta lo fa per nostalgia o per vezzo, non per necessità. La penna è diventata decorazione da ufficio. E se si rompe la tastiera, il pensiero si inceppa.

Una volta si portava un libro in borsa, oggi si ha un abbonamento a una piattaforma digitale che promette tutto e non ti lascia il tempo per niente. Apriamo dieci finestre, ma non leggiamo davvero.

Il sapere, quello vero, lo abbiamo delegato a chi risponde a comando vocale.

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E Alexa risponde. Ma noi dimentichiamo subito.

Abbiamo smesso di sapere, perché tanto possiamo cercare. Abbiamo smesso di ricordare, perché tanto possiamo archiviare. Abbiamo smesso di scrivere, perché tanto possiamo digitare. Ma in questa corsa verso la comodità, abbiamo dimenticato come si vive senza l’elettricità addosso.

Perfino l’amore è diventato un dato. Le date importanti ce le ricorda il telefono. Gli anniversari ce li segnalano le app. I messaggi li scriviamo con frasi precompilate, cuoricini automatici, risposte suggerite. Il pensiero personale è stato disattivato per eccesso di velocità.

Non è nostalgia. Non è un’ode al passato. È una constatazione. Abbiamo fatto della memoria qualcosa di esterno. Tutto è in un server, in una app, in un backup. E noi, senza accesso a quei dati, diventiamo smarriti. Non per colpa della tecnologia, ma per eccesso di fiducia in essa.

E allora, chi chiami alle tre di notte se hai la macchina bloccata e il cellulare rotto?
Forse nessuno. Ma la domanda non è solo pratica. È esistenziale. Chi siamo, quando non possiamo connetterci?

Cosa resta di noi, se ogni ricordo, ogni numero, ogni direzione è affidata a uno schermo?
La risposta è semplice. Resta quello che ci siamo portati dentro.

E se dentro non c’è più nulla, se tutto lo abbiamo affidato a una nuvola, allora forse è tempo di smettere di delegare.

Ricordare due numeri a memoria. Tenere un’agendina. Annotare qualcosa su carta. Portare con sé un libro, una penna, una direzione.

Non per essere romantici. Ma per essere liberi. Anche solo un po’. Anche solo per le emergenze. Anche solo per non restare immobili alle tre di notte, davanti a una macchina spenta e a una mente vuota.

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.