Fenomeno onnipresente ma ignorato. Meglio il silenzio che cela, anziché una verità che sbiadisce l’immagine del perbenismo
La prostituzione è una realtà diffusa, trasversale e radicata nella società, ma è anche uno degli argomenti più evitati nel dibattito pubblico.
Pur essendo un fatto che coinvolge milioni di persone nel mondo, rimane circondato da un muro di silenzio e ipocrisia.
Si preferisce fingere che non esista, che riguardi solo ambienti marginali e lontani, quando invece è praticata e finanziata da uomini di ogni classe sociale, inclusi coloro che conducono vite apparentemente rispettabili: mariti, padri di famiglia, professionisti e politici.
Un business sommerso e normalizzato. Nonostante il disinteresse generale, è una delle industrie più redditizie a livello globale. Le strade delle città, le case chiuse clandestine, gli hotel di lusso e le piattaforme digitali sono teatro di un’attività che non conosce crisi.
Eppure, l’attenzione mediatica e politica si concentra quasi esclusivamente sulla figura della persona che si prostituisce, a volte vittimizzata e troppo spesso colpevolizzata, mentre chi usufruisce del sesso a pagamento rimane nell’ombra, protetto da un’aura di omertà.
Una tendenza distorta della realtà, dove il cliente è un’entità invisibile, e raramente si parla della sua responsabilità, della domanda che alimenta l’offerta e delle contraddizioni di una società che giudica l’immoralità della circostanza, ma la tollera e la assorbe in silenzio.
Il lato oscuro, purtroppo assai consistente, è la tratta di esseri umani, ignorata sotto il velo dell’ipocrisia e celata dalla maschera del perbenismo, che non vuole vedere, ma guarda al consumo.
Uno degli aspetti più inquietanti che imperversa, è la rete mondiale dalla quale proviene un numero significativo di giovani donne cisgender e transgender, che non scelgono volontariamente di vendere il proprio corpo, ma vengono costrette attraverso minacce, violenza o inganno.
Le reti di sfruttamento sono strutturate e potenti, alimentate da una domanda costante che rende il traffico clandestino un’attività altamente redditizia.
Giovanissime adolescenti prelevate da Paesi in via di sviluppo, migranti senza documenti e in condizioni di vulnerabilità, sono le prime vittime di questo sistema.
In particolare, le donne MTF, cioè in transizione di genere “Male-to-Female”, che già marginalizzate dalla società, diventano facili bersagli dei trafficanti senza scrupoli, finendo schiavizzate nei circuiti della prostituzione controllati dalla criminalità organizzata.
Tutto questo accade mentre l’opinione pubblica e le istituzioni si voltano dall’altra parte. Si preferisce incolpare la prostituta o il migrante piuttosto che riconoscere che il vero motore di questo mercato è la richiesta costante di sesso a pagamento.
Invece, è un tema da affrontare, e non da ignorare. Il silenzio sullo sfruttamento sessuale non è casuale: è una scelta collettiva che serve a proteggere chi ne trae vantaggio, sia economicamente che socialmente.
Parlare apertamente di prostituzione significherebbe mettere in discussione molte certezze, interrogarsi sulle dinamiche di potere, sul ruolo della donna e sulla sessualità maschile nella società contemporanea.
Continuare a ignorare tale situazione significa perpetuare lo sfruttamento e la violenza, lasciando sole migliaia di persone che vivono questa realtà sulla propria pelle.
Inutile voltarsi dall’altra parte, occorre iniziare a parlarne e non come un tabù, ma come una questione sociale che riguarda tutti.
Non è solo una questione privata tra chi vende e chi compra sesso, ma un fenomeno che riflette le disuguaglianze economiche, il potere di genere e le ipocrisie della società.
Dietro ogni transazione c’è una storia di vulnerabilità, di esclusione o di coercizione, e spesso un sistema di sfruttamento ben radicato.
Ignorarla significa evitare le dinamiche di potere che la rendono necessaria per alcuni e accessibile per altri, chiudendo gli occhi di fronte al traffico di esseri umani, nonché alla mancanza di migliori opportunità di vita per molte donne, cisgender e transgender, omettendo la responsabilità di chi ne è cliente.
Affrontare il tema non implica parlare solo di moralità, ma interrogarsi su giustizia sociale, diritti, libertà e dignità umana. La prostituzione esiste perché la società la permette, la consuma e la nasconde. Per questo, riguarda tutti.
Ridurla a una mera questione morale comporta la semplificazione di un fenomeno complesso, ignorandone le radici profonde.
Non si tratta di giudicare se sia giusto o sbagliato vendere o acquistare sesso, ma di affrontare le condizioni che spingono molte persone a prostituirsi: povertà, discriminazione, violenza e mercificazione umana.
È una questione di diritti, di sicurezza, di dignità. Parlarne in termini etici senza considerare le disuguaglianze che la alimentano, vuol dire sviare il discorso dalle vere responsabilità sociali e politiche. Per questo il dibattito non può fermarsi alla morale, ma deve interrogarsi su giustizia e cambiamento.

Autore Adriano Cerardi
Adriano Cerardi, giornalista pubblicista, consultant manager, specializzato nell’analisi dei modelli organizzativi e del mutamento tecnologico. Ha ricoperto incarichi in Europa, Algeria, Sud Africa, USA e Israele.