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Oltre il velo di Maya

il velo di Maya

Non serve a nulla lodare e predicare la luce, se non c’è nessuno che possa vederla. Bisogna invece insegnare all’uomo l’Arte di Vedere.
Carl Gustav Jung

La riflessione che sorge da questa affermazione conduce alla visione secondo cui conoscenza e saggezza assumono valore solo se accompagnate dalla giusta capacità di guardare oltre l’apparenza.

Tale considerazione parte dall’importante presupposto che la dimensione fenomenica non costituisce l’intero spazio di conoscenza umana, che presuppone, invece, ‘un salto’ al di fuori della logica del percettibile.

Il Fenomeno, dunque, ciò che si manifesta ai sensi, è stato per molto tempo oggetto di attenzione filosofica, giungendo a contrastanti posizioni a riguardo. Si tratterebbe della realtà concreta, di ciò che fa parte della vita di ogni individuo ed in quanto tale ne rappresenta tutti gli aspetti più peculiari.

Ad esso sono ascrivibili tutte le esperienze sensoriali umane e mentali che, per tale motivo, risultano conoscibili nell’immediato.

Un ruolo importante in questo processo conoscitivo è dato alle convenzioni sociali, che mediante l’attribuzione di etichette conformanti, hanno permesso la comunicazione tra individui, l’accettazione o il divieto sociale di comportamenti collettivi.

In opposizione alla visione hegeliana, che riconduceva all’ambito fenomenico l’oggettiva manifestazione della realtà, rifiutando l’idea di verità nascoste oltre l’apparenza, l’indagine in tale spazio di riflessione intende approfondire ciò che il pessimismo schopenhaueriano ha conseguito in termini di coscienza sociale.

‘Il mondo come rappresentazione’ nasce dall’intuizione secondo cui ciò che risulta conoscibile attraverso l’esperienza pragmatica dei sensi altro non è che pura rappresentazione, ossia il risultato di ciò che la mente organizza ed interpreta sulla base di quanto ‘ricevuto’ dai sensi.

Dunque, non si può mai conoscere la realtà così com’è, Ding an sich – la cosa in sé, nella sua essenza oggettiva. La visione del mondo a cui l’individuo partecipa risulta quindi distorta e limitata dai desideri e dalle sfaccettature della natura emotiva umana.

La realtà fenomenica assume le sembianze di una incredibile illusione, che la tradizione filosofica indiana identifica in Maya.

Il velo di Maya rappresenta appieno la condizione umana in cui la conoscenza delle cose reali appare filtrata dall’illusione sensoriale. Ciò che anima tale conoscenza è la volontà, che orienta costantemente al desiderio, lasciando prigionieri dell’illusione di un mondo artificioso.

Rapportata all’era contemporanea, la ricerca di una realtà disillusa, oltre le apparenze, calza perfettamente la sempre più insistente esigenza del comune sentire. L’uomo del progresso, spesso ingabbiato dalle illusioni collettive, riconduce a ciò che sente e percepisce i suoi valori ideali, tralasciando la vera essenza della sua natura, privandosi di quel genuino e profondo incontro con se stesso.

L’idea di squarciare il velo di Maya implica la liberazione dalla volontà, che nella speculazione schopenhaueriana rappresenta quella forza cieca e irrazionale che spinge a desiderare, nutrendo il proprio ego, sempre e sempre di più, portando all’infelicità.

La realizzazione di tale obiettivo parte da un unico importante presupposto: l’Arte di Vedere ‘oltre’, abbattendo i limiti del ciò che appare, implica il critico superamento dei vincoli convenzionali ed il distacco, aspirando ad una vita orientata ed illuminata dal desiderio di bellezza ed autenticità, secondo una visione più pura, in cui l’empatia verso il prossimo ed in generale verso la condizione umana, libera l’individuo dal limitante egoismo dei tempi moderni.

Autore Pina Ciccarelli

Pina Ciccarelli, maturità Classica e Laurea in Giurisprudenza. Appassionata di Storia, Filosofia, Letteratura e Musica. La scrittura nasce dell'evasione, dal desiderio di donare colore alla vita, catartico abbandono all'immaginazione. Tra i sentieri nascosti del sublime, fuori dalle logiche del reale, per scoprire se stessi.