Altro che panini e patatine fritte, ecco lo street food più famoso al mondo, una bevanda con un mix tra salato e piccante, in voga fino agli anni Settanta, che, purtroppo, sta scomparendo
Lo scorso anno ci occupammo del samurchio, o samurchiello, un cibo da strada in auge fino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, e che, per le nuove norme sanitarie, non si consuma più, anche se la Regione Campania, sul proprio sito, lo ha inserito tra i piatti poveri della tradizione della cucina campana.
Oggi vi parliamo de ‘o broro ‘e purpo, il brodo di polpo, uno degli street food più poveri e famosi del mondo.
In questo periodo, a Napoli, quando il freddo era particolarmente pungente, era consuetudine scorgere un capannello di uomini davanti ad un chiosco, in particolar modo nei pressi di Porta Capuana, in attesa di ricevere la tazza con ‘o broro ‘e purpo.
Così chiamato nella città partenopea, non è altro che l’acqua di cottura del polpo, aromatizzata con sale e pepe, servita bollente, in una tazza con all’interno una ranfetella, i tentacoli dei polpi nella lingua napoletana.
Il gusto è forte, un mix piccante e salato. La ricetta è antichissima, ma oramai sono pochissimi i chioschi o i ristoranti che lo servono.
È ancora un mistero su come questo cibo sia giunto a Napoli, forse è autoctono ed è sempre esistito per la sua preparazione estremamente semplice: tantissima acqua, dei polpi interi da cuocere per circa un’ora, in acqua bollente, appunto, e non bisogna lesinare sale e pepe.
Agli scavi di Pompei sono stati ritrovati ‘chioschi’ con residui di molluschi all’interno.
Questa bevanda è citata da Giovanni Boccaccio in una lettera del 1339, durante il suo soggiorno napoletano, in cui racconta che, in occasione della nascita di un bambino, i parenti avevano comprato un polpo, lo avevano cotto in acqua, con aggiunta di spezie, e fatto consumare alla puerpera, affinché si riprendesse dalle fatiche del parto.
Non poteva mancare l’omaggio letterario a questa pietanza da parte di due napoletani illustri.
Matilde Serao, ne ‘Il ventre di Napoli’, scrive che con solo due soldi è possibile consumare un pezzo di polpo bollito nell’acqua di mare, condito con spezie piccanti e che a venderlo per strada, sono le donne munite di una pignatta che bolle sopra il fuoco.
Più aulica la descrizione di Giuseppe Marotta che, ne ‘L’oro di Napoli’ lo definisce ‘il tè del mare’ e descrive il carretto di un venditore ambulante, don Gennarino Aprile, che serve ai clienti le cozze con il limone, le alici fritte e il brodo di polpo, venduto per due soldi in una tazzina di brodo bollente, con un pizzico di pepe rosso e una piccola ventosa dell’animale che veniva masticata alla fine, dopo aver ingurgitato la bevanda.
La sensazione di calore che pervade il corpo ed il sapore piccante aiutavano a combattere il freddo nei mesi invernali; inoltre, veniva considerato un lenitivo contro il raffreddore.
Il brodo di polpo è addirittura l’argomento principale di un film del 1982 con Mario Merola e Nino D’Angelo, dal titolo ‘Tradimento’, Alla fine, sarà viene assaggiato dal giudice, un fiorentino trapiantato a Napoli, che, però, non la gradirà.
E se vogliamo prepararlo a casa?
In una pentola capiente bisogna portare ad ebollizione dell’acqua con tanto sale e pepe, e aggiungere il polpo. Non esistono dosi esatte, a piacere e secondo i gusti.
Il tempo di cottura è direttamente proporzionale alla grandezza del mollusco, bisogna attendere che il ‘mostro’ si ammorbidisca, da cui il famoso detto napoletano, ‘o purpo s’adda cocere cu’ l’acqua soja, cioè bisogna saper attendere e non vendicarsi, poiché le persone cattive sanno rovinarsi da sole.

Autore Mimmo Bafurno
Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.