Uccidere, uccidere, uccidere… vai paladino miliziano, semina l’orrore. Compi il tuo dovere. Premi il grilletto, sfodera il machete, impugna il coltello. Non hai il coraggio? Ci pensa il Captagon
Milizia: esercizio del mestiere delle armi, vita militare, l’arte della guerra.
Che in alcune condizioni la guerra sia strumento di difesa da un aggressore che vìola le libertà, purtroppo è inevitabile ammetterlo.
Ma definire la guerra ‘arte’ pare offensivo per l’idea che tutti abbiamo dell’Arte quale emozione estetica che sorge dal prodotto culturale del bello, intima quintessenza degli artisti.
La parola arte deriva dal latino ars, ed intende ogni attività mirata a progettare o a costruire in modo adatto e armonico qualcosa. La parola latina viene dalla radice sanscrita ar, espressione di andare verso, adattare, fare, produrre.
In età moderna inizia a perdere parte del suo legame con la materia, identificando ogni prodotto intellettuale riconosciuto come valore. Tale significato si consolida poi nel ‘700, con la nascita dell’Estetica Filosofica.
Pertanto, l’Arte è cultura, valore, armonia. Tratti che rappresentano magnificamente il prodotto estetico – culturale dell’Umanità, ineluttabili contraddizioni dell’immagine di guerra.
La pittura, tocchi di colore posati a pennello sulla tela dall’acromatico bianco, luminosità frantumata nelle molteplici sfumature dello spettro visibile poi spalmate in uno spazio definito.
La scultura, che libera dell’inutile rivestimento le forme già contenute nella pietra grezza, anime racchiuse, modello dell’immaginazione dello scultore.
L’architettura, insieme di pietre cubiche manualmente levigate, posate una sull’altra in perfetta geometria ad erigere cattedrali a guglie che penetrano il cielo alla ricerca del divino, contornate da draghi e demoni che allertano malintenzionati profanatori.
La poesia, la prosa, il canto, la musica… frasi e melodie, suoni animati che vibrano ritmicamente in armoniosa successione.
Il fabbro e il vetraio, artigiani che incurvano e intrecciano agglomerati di atomi incandescenti poi trasformati in adornanti decori.
La fotografia, che in una frazione di secondo ferma per sempre scenari ammirati e di lì a poco dimenticati.
La medicina, sublimazione dalla Scienza verso l’Umana Esistenza. Indissolubile commistione di Scienza – Conoscenza – Sapienza, espressione dell’Arte terapeutica esercitata da anime sensibili dedite allo scibile umano. Altrimenti segregazione in metodica applicazione della cultura scientifica.
Ecco, allora, che pensare alla guerra come arte destabilizza un po’. Tuttavia il confronto tra contendenti può essere tale, se considerato nel contesto di arcaiche tecniche di duello.
Il combattimento può diventare arte, osservato dall’esterno, tra uomini che si affrontano con armi convenzionali oppure a mani nude, come la scherma o le arti marziali.
È quindi plausibile che la guerra venga esclusa dall’insieme delle Arti e sia sempre solo orrore.
Coloro che decidono la guerra, indipendentemente se per conquista oppure difesa, la considerano giusta.
Pianificano attacchi, stermini, armi da usare, bombe, missili convenzionali o nucleari arrogandosi il potere di decidere il destino dell’intero pianeta e dell’Umanità che lo abita, benché una moltitudine che ambisce a vivere in pace e serenità non abbia alcuna correlazione con i paesi belligeranti.
Danaro in miliardi è stato speso, forse meglio dire dilapidato, per uso deterrente, affermando:
Se mi spari il tuo nucleare, poi io ti sparo il mio!
Come se nubi e venti radioattivi rimanessero in stato di quiete, funebri oggetti decorativi sopra i Paesi nemici. Invece, sappiamo bene che, in poche ore, dilagherebbero ovunque, seminando morte e distruzione per secoli a venire.
E chissà come reagirà la genetica nelle generazioni future, procreate dai sopravvissuti che, nel breve tempo di vita, rimasto avessero trovato coraggio, fisico, morale o semplicemente inconsapevole, di riprodursi.
Una mano al posto del piede? Una gamba al posto di un braccio? Due teste su un unico corpo?
Lo troviamo il coraggio di traguardare oltre?
Coraggio. Ecco, si… occorre coraggio, anche solo per immaginare quale ulteriorità.
E quale coraggio ha indosso un essere umano per uccidere nel modo più barbaro, più sanguinoso, più umiliante, con la violenza più efferata, altri essere umani?
Stragi a colpi di kalashnikov, donne violentate a sangue e poi uccise, corpi senza vita ammassati sui camion di raccolta cadaveri, molti i decapitati, la testa chissà dove sarà…
Quanto riportato dai giornali e con le immagini trasmesse dai notiziari non colmano il bisogno di terrorizzare dei protagonisti di ripugnanti oscenità.
È necessario che la decapitazione sia ripresa in videoclip poi diffusi su abominevoli siti Internet, a conferma dell’orrore estremo raggiungibile, Horror No-Limits.
Ma se anche l’orrore è figlio del coraggio, è necessario distrarre coloro che potrebbero non averne, perché abominio e odio profondo da soli potrebbero non bastare per attuare atti di inaudita mostruosità.
Arrivare al massimo livello dell’orrore praticabile, esige un senso di onnipotenza che una persona in condizioni normali difficilmente raggiunge.
È risaputo che i soldati utilizzino sostanze. Quelli delle trincee della prima guerra mondiale e i kamikaze giapponesi nella seconda guerra mondiale si dice che assumessero anfetamine.
Ai terroristi Hamas caduti in combattimento sono state trovate pillole di Captagon, una anfetamina molto diffusa in medio oriente.
La sostanza era nel sangue dei terroristi della strage del 2015 al Bataclan di Parigi e in uno degli autori dell’attentato sulla spiaggia in Tunisia del 26 giugno 2015, dove morirono 39 persone. Secondo alcuni resoconti ne sono state trovate gradi quantità nelle varie postazioni dell’Isis.
Spesso mescolato alla caffeina, il Captagon aumenta la resistenza alla fatica, induce allo stato paranoico, rafforzando forme di paura e angoscia dovuta al senso di persecuzione per concreta minaccia, un vantaggio se braccati. Inoltre, comporta l’aumento della combattività e dell’aggressività.
Allora l’instancabile terrorista, in nome della propria onnipotenza, uccide, uccide, uccide! Preme il grilletto per la raffica del suo mitra, stupra a sangue, squarcia le gole a taglia le teste che poi getta nel fossato, lontano dai corpi che le reggevano. Donne, uomini, bambini… persone di ogni età, senza distinzione.
Come abbia potuto l’umanità maturare simili aberrazioni è difficile da comprendere nel rispondere alla domanda:
Qual è il fine ultimo?
Intolleranza, irragionevolezza, incapacità di traguardare a quanto è piccolo questo pianeta nello spazio infinito dell’Universo, con tutto ciò che vi è sopra noi compresi, accecano e portano al delirio esistenziale.
La sopravvivenza di popoli eterogenei e delle nazioni è determinata dai confini territoriali, dalle ideologie politiche, dalle etnie, dalle tradizioni e dalle culture, dal credo religioso.
La grande diversità esistente tra gli abitanti della Terra non potrà mai essere eliminata da una supremazia vincente, e le frontiere non sono sufficienti a contenerla.
Forse è necessario riflettere sul valore assoluto della Libertà, caratterizzata dalla Tolleranza scevra del senso di superiorità di uno nei confronti dell’altro:
Io ti tollero perché io sono meglio di te, ma ti concedo di esistere.
La Tolleranza, invece, può solo essere intesa quale paritetica e reciproca accettazione delle diversità, l’ammissione che qualcosa esista al di là di noi stessi. Il reciproco rispetto delle convinzioni altrui, seppur profondamente distanti o contrastanti dalle proprie, e senza impedirne la pratica esternazione.
Per il bene dell’Umanità… il fine ultimo.
Altrimenti altri orrori seguiranno.
Autore Adriano Cerardi
Adriano Cerardi, esperto di sistemi informatici, consultant manager e program manager. Esperto di analisi di processo e analisi delle performance per la misurazione e controllo del feedback per l’ottimizzazione del Customer Service e della qualità del servizio. Ha ricoperto incarichi presso primarie multinazionali in vari Paesi europei e del mondo, tra cui Algeria, Sud Africa, USA, Israele. Ha seguito un percorso di formazione al Giornalismo e ha curato la pubblicazione di inchieste sulla condizione sociale e tecnologia dell'informazione.