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Murticiell’ e Torrone: Napoli e il culto dei morti

2011
Murticiell' e Torrone - ph Rosy Guastafierro


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Passare in questi giorni davanti alle vetrine di una qualsiasi pasticceria di Napoli sorprende, non ci sono babbà, sfogliatelle, santarosa o pastiere, lo scenario cambia repentinamente, disposti uno accanto all’altro tanti rettangoli regolari di color marrone chiaro o scurissimo, quasi nero, che evocano, inequivocabilmente, la forma di una bara semplice è lineare: il torrone dei morti.

Solitamente siamo abituati a delle tavolette rettangolari spesse non più di due centimetri di zucchero e nocciole o mandorle. Questo dolce, invece, è diverso; un parallelepipedo alto non meno di dieci centimetri ricoperto da uno stato di finissimo cioccolato al latte, fondente o addirittura bianco, che conserva un cuore morbido dai sapori più svariati.

Ogni pasticciere ha una sua ricetta, un suo sapore particolare accuratamente preparato in gran segreto: mandorle, pistacchi, caffè, nocciola, frutti secchi o scorzette candite con fragranze che inebriano innanzitutto la vista per poi far nascere quel languorino a cui non si può rinunciare.

C’è una sera particolare dove il cartoccio profumato deve essere lasciato sulla tavola imbandita di tutto punto, immancabile acqua, vino, olio, sale e baccalà, tra Ognissanti, il primo novembre, e la commemorazione dei defunti, il giorno seguente.

La tradizione vuole che in questa notte vi sia una ricongiunzione tra le anime dei morti, che ritornano tra le mura domestiche, e i loro familiari.  Avviene uno scambio sacro tra i doni che i defunti recano dal cielo ai loro cari e, di contro, il sollievo che il congiunto intende dare per rendere il lungo viaggio meno grave.

Per chi invece non riusciva a comprarlo, in particolare nei quartieri poveri nel periodo del dopoguerra, si invocava al buon cuore della gente urlando

Fate bene ai santi Muorti

una questua con un cartone tra le mani a mo’ di bara chiamato ‘o tavutiello.

Per le strade echeggiava come una cantilena

Famme bene, pe’ li muorte: dint’a ‘sta péttula che ‘ce puorte? Passe e ficusecche ‘nce puorte e famme bene, pé li muorte

che, in maniera esplicita, chiedeva qualcosa per i morti, in particolare uva passa e fichi secchi da depositare nel grembiule per creare ristoro ai defunti.

Alleviare le anime di coloro che ci hanno lasciato, non solo i nostri cari, è una prerogativa che cogliamo più o meno forte in tutte le civiltà, ma nella città partenopea è una cosa estremamente sentita, un vero e proprio vincolo.

Ritroviamo due luoghi simbolo di questo sentire, dove un tempo si professava il culto delle anime pezzentelle: nel centro della città, in via dei Tribunali, la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco e, nel rione Sanità, il Cimitero delle Fontanelle.

In questi due antichi ossari, dove è stato rinvenuto un numero davvero imprecisato di resti umani di poveri o senza famiglia, probabilmente accumulati durante i periodi di epidemie, quando non era consentito il normale espletamento del rito funebre, si usava adottare un cranio abbandonato. Veniva lustrato a dovere, poi, per meglio custodirlo, lo si poneva in piccole teche.

Questa pratica mirava a ricevere in cambio protezione e fortuna. Basta anche girare tra i vari vicoli dove, scavate nel muro di tufo, troviamo delle rientranze, piccole edicole sacrali, protette dal vetro in cui, accanto all’effigie della Madonna con il Rosario, vengono collocate le foto dell’estinto.

Il rapporto è benevolo, è colui che, in qualche modo, continua a vegliare su tutta la famiglia, al quale si chiede lumi per risolvere i problemi più immediati, magari anche con una vincita al gioco del lotto attraverso i famosi numeri dettati in sonno.

Ai bambini, invece, che approfittando del periodo, chiedevano leccornie, emulando i grandi; in particolare nelle campagne limitrofe alla città, si usava preparare i cicci muorti, ovvero i chicchi di grano bolliti e conditi con miele e zucchero.

Il desiderio di dolce tipico dell’adolescenza ha dato vita alla leggenda che avvolge uno dei Caffè simbolo della città; il Gambrinus. Sembrerebbe che proprio in questi giorni, tra i tavolini storici, passi una bimba che si diletta a rubare dolcetti avvalendosi dell’attimo di distrazione dell’avventore, naturalmente concentra la sua attenzione proprio sul famoso torrone.

Questa delizia non è riservata solo a coloro che non ci sono più; il mattoncino prelibato, ‘o murticiello’, deve essere regalato alla propria fidanzata o alla moglie come segno di eterno amore e devozione, sacralizzata dal periodo particolare.

Le consorti ricambiano nel giorno di San Martino, non solo per tenerli lontano dal mosto che diventa vino, ma, soprattutto, per dimostrare una fedeltà incondizionata proprio nel giorno del loro santo protettore!

È triste constatare che secoli di tradizioni lasciano il posto a usanze consumistiche ed importate, i dolcetti e le marachelle ci sono sempre state.

Nelle aree cimiteriali, oltre che al centro città, enormi bancarelle cariche di giocattoli e dolciumi allietavano il cuore dei bambini che, prima di ricevere il proprio dono, in maniera composta e con il vestitino della festa, accompagnavano i genitori a rendere un saluto a coloro che avevano amato.

Foto Rosy Guastafierro

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.