La ridente cittadina di Chiavari è una rinomata località balneare del Levante ligure, ove mi recai nell’agosto del 2012 per una vacanza, ospite di amici.
Nonostante la assai misurata espansività degli indigeni rispetto agli standard partenopei mi trovai bene, mi abbuffai di squisite focacce, feci belle passeggiate nell’interno e molti bagni, sempre con la maschera per curiosare.
Debbo aggiungere che ad allietare il mio soggiorno contribuì anche il paese vicino, Lavagna: vi incrociai per avventura un minuscolo negozietto di alimentari dall’aspetto dimesso ma attraente, che conteneva – sorpresa – una coppia di signori napoletani: questi provvidenziali immigrati mi permisero di assumere, pur in terra esotica, alcune tra le migliori mozzarelle di bufala, appositamente importate, che abbia mai mangiato.
Come molte altre cittadine della regione, Chiavari si è dotata di un rinnovato percorso-passeggiata sul lungomare, del quale villeggianti e indigeni usufruiscono, specie nella stagione calda, per lo struscio nelle ore più fresche.
Il percorso è ricco di varietà vegetali decorative, tra cui diverse specie di palme e, tra queste, numerose palme di San Pietro (Chamaerops umilis) di piccole dimensioni.
Una bella mattina, camminando sulla passeggiata verso le 08:40 allo scopo di recarmi al luogo deputato alle immersioni mattutine in acqua salsa, notai uno spettacolo per me nuovo e affascinante.
Posate immobili proprio sulle punte delle foglie delle Chamaerops, stavano diverse centinaia di libellule. Centinaia, dico.
Parentesi tassonomica: le libellule sono fondamentalmente di due tipi: Odonati Zigotteri, come direbbe un entomologo, che sta per “libellule dalle ali uguali”, che sarebbero poi le damigelle, e gli Odonati Anisotteri, cioè “libellule dalle ali differenti”, le quali infatti hanno le ali anteriori più grandi. Queste erano certamente Anisotteri.
Gli Odonati sono formidabili volatori, alcune specie possono sfrecciare a 70 km/h, e agilissimi volatori, possono anche volare all’indietro e le quattro ali si muovono in maniera indipendente; sono voraci predatori diurni e grandi consumatori di zanzare, oltre ad essere tra gli insetti che raggiungono le maggiori dimensioni e i colori più sgargianti.
Passava poca gente, lo spazio del passaggio in quel punto è ampio, l’aria era quieta; unico suono in quell’atmosfera sospesa, se si esclude qualche voce lontana, era la calma risacca del mare vicinissimo.
La maggior parte delle libellule sostava, mentre qualcuna compiva brevi voli sopra le foglie per poi riposarsi quasi subito. Ai miei occhi appartenevano tutte alla medesima specie.
Le fissavo affascinato e incredulo.
Scintillanti di riflessi dorati al sole, ieratiche dominatrici del loro mondo di invertebrati, mirabilmente costruite, mi hanno subito pervaso di incondizionata ammirazione.
Eccole levarsi, eccole posarsi, eccole disporsi accuratamente e sistemarsi in modo da esporre la massima superficie corporea all’irradiazione, così da scaldarsi al sole del mattino; eccole muovere il capo con i caratteristici scatti e torsioni nervose.
Se mi muovevo con grande cautela si lasciavano avvicinare abbastanza facilmente, ma non tolleravano che io mi elevassi sopra la loro linea di orizzonte, cioè non potevo mostrarmi in una posizione più in alto di loro: all’istante, con un fruscio crepitante caratteristico, si allontanavano con agile, irridente velocità. Sicché non ho potuto fotografarle dall’alto, con mio disappunto: ma le riprese furono sufficienti a soddisfare la mia curiosità.
“Ma certo, è Sympetrum fonscolombii” sentenziò infatti un amico che di libellule ne sa quando gli mostrai le foto; “è specie migratrice; se le hai viste a Chiavari con tutta probabilità stavano arrivando dalla Sardegna, e ogni giorno ne arrivano di nuove mentre le altre si distribuiscono nell’entroterra”.
“Sardegna?”
“Sì, sì; è noto che ci sono flussi migratori di fonscolombii lungo quella tratta, tu hai visto con tutta probabilità uno di quei trasferimenti di massa”.
“Flussi migratori”, “trasferimenti di massa”, disse l’entomologo.
Dunque io vidi, seppur minime, creature stremate, provenienti da di là del mare: superstiti che, riuscito il periglioso passaggio, riprendevano le forze sulla riva in attesa di poter riprendere il viaggio.
Appreso tutto ciò, e collocatolo in un più ampio panorama, un complicato senso di considerazione e ritegno mi salì al petto.
Autore Giuseppe Starita
Giuseppe Starita nacque a Napoli e la cosa lo colpì moltissimo: ancora oggi e ogni volta, la parmigiana di melenzane lo commuove. Ottenne la maturità scientifica per il rotto della cuffia, frequentò per un po’ l’università, poi diventò lavoratore autonomo e il suo lavoro gli piace. Tiene diverse fissazioni tra cui: le Isole Ebridi, gli artropodi, Johann Sebastian Bach, l’Odissea, le lampade frontali: queste le usa prevalentemente per pulire la cassetta dei gatti e per fare le iniezioni. È piuttosto magro e pesa 70 chilogrammi.