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Mi potrà capire lo Stato?

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Un viaggio nella politica dei sentimenti

Vagavo qua e là tra i miei pensieri, incontrando, ogni tanto, gli sbandieratori delle idee. Tutti contro tutti e solo in apparenza sincere alleanze momentanee.
Le avevo già sentite mille volte le loro promesse mai mantenute. Mille volte si erano alleati per poi tagliarsi il collo vicendevolmente dopo il voto.

Come ad una tombola avevo visto mescolare i numeri facendone uscire, ogni volta, combinazioni diverse e poi ancora uguali.

Era il momento della grande campagna e si sa, contro il nemico, in guerra, ogni arma è lecita, perfino mentire sapendo di mentire, perfino fingendo di essere amici sapendo di non esserlo affatto.

Io ero lì, con il mio mondo di giustizia e solidarietà ma mi domandavo se mai mi avrebbe potuto capire quel tal politico e quel tal altro che erano solo intenti ad accalappiare voti.

È come quando comunichi con un imprenditore tutto teso solamente a far quadrare il proprio bilancio. Le parole amore, compassione o amicizia, vengono da lui interpretate con amore per il successo, compassione verso il proprio conto in banca e amicizia solo negli affari, giacché, se cambi alleanza negli affari, quell’amicizia non c’è più.

Continuai perciò a vagare nei miei pensieri, convinto che non si può pretendere di essere capiti quando si parlano due lingue disuguali.

Il politichese ho imparato certamente a conoscerlo e non mi inganna più.
Il problema è che chi lo parla, durante la grande campagna, sembra che conosca solo quello e, per tale ragione, non potrà mai comprendere coloro che si esprimono con il linguaggio della sincerità, una lingua del tutto sconosciuta durante i conflitti dovuti alle idee da sbandierare. Una lingua che puoi parlare guardando dritto negli occhi le persone senza doverti vergognare.

Mi domando perciò, quanto io non rappresenti un semplice numero per chi mi governa, di volta in volta.

Sei più importante Tu o lo Stato? Il problema non è di facile soluzione. Sappiamo che l’individuo è definito in rapporto all’insieme, alla specie di appartenenza. Fa parte di un tutto e questo ci può portare a pensare che il tutto abbia più importanza dell’individuo stesso.

Ma è proprio da questo modo di pensare che sono nate le dittature, siano esse fasciste o staliniste: mettendo la specie, la razza, al di sopra dell’individualità dell’essere umano.
I diritti e i doveri della specie superavano l’uomo, poiché quest’ultimo veniva considerato come un diritto e un dovere vivente e non come una creatura libera avente una propria vocazione creativa.

Fatalmente l’intimità umana veniva a scontrarsi con il diritto – dovere sancito dalla dittatura e il più grande vinceva sul piccolo, poiché era sempre il più forte e il più potente a decidere quali fossero le rigide schematizzazioni da dover imporre e costringere a subire.

Se invece vediamo l’uomo, non più come diritto – dovere imposto, senza una volontà propria, ma come una vocazione creativa, egli sentirà nell’animo di possedere un incarico prezioso, il quale diverrà la sua vera ragion d’essere, il senso della propria Vita.

In questo modo risulta evidente che il bene dell’insieme non può esistere che a partire dal bene e dalla felicità di ciascuna persona.

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Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.