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Leda Conti e Sergio Di Paola incantano al TRAM

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Sergio Di Paola e Leda Conti in 'Pia Bellentani'


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I due strepitosi artisti mettono in scena con ‘Pia Bellentani’ 25 minuti di perfezione

Sabato 6 aprile, ore 19:30, presso il Teatro TRAM di Napoli, nell’ambito dell’originale format 13 assassine, ha debuttato con successo lo spettacolo ‘Pia Bellentani – Come in un romanzo dell’Ottocento’ scritto e interpretato da Leda Conti, con Sergio Di Paola, aiuto regia Laura Zaccaria, regia Sergio Di Paola.

Strepitosi, come sempre, i due meravigliosi Artisti: comunicativi, espressivi, perfettamente in parte. Quanto ci era mancato vederli in scena!

Nessuna sbavatura, tutto assolutamente calibrato per quella che, senza dubbio, risulta una perfetta rappresentazione.

Da sottolineare, poi, il non facile compito di condensare, in soli 25 minuti, secondo la peculiare formula della rassegna, ideata dal direttore artistico del TRAM, Mirko Di Martino, che mescola scrittura, rappresentazione e cronaca, una storia che ha catalizzato l’attenzione dei media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica per un tempo dilatato.

L’intento ultimo non è indugiare in quella stessa morbosa ricerca del più sordido particolare, che caratterizza, ancora oggi, le storie di cronaca nera nei salotti delle principali emittenti televisive, che tanto fanno audience perché sedicenti opinionisti amano soffermarsi sugli aspetti più lugubri dei protagonisti, quanto, piuttosto, tentare di scavare e scovare le spinte psicologiche intrinseche che muovono le assassine mettendone a nudo l’interiorità.

L’omicidio dell’industriale comasco Carlo Sacchi ad opera di una delle sue innumerevoli amanti deluse, la contessa Pia Bellentani, avvenuto il 15 settembre 1948, nel corso di una serata di gala al Grand Hotel Villa d’Este durante una sfilata di moda sul lago di Como.

La drammaturgia ripercorre in modo fedele, cronistico al limite del documentaristico, seppur in chiave romantica, il disagio della protagonista, i suoi contrasti, per spiegare le motivazioni che l’hanno portata a quel gesto estremo.

Quello sparo che si sprigiona dalla pistola che la donna prende dal cappotto del marito inizialmente con l’intento di suicidarsi di fronte all’amante per il solo e unico scopo di infliggergli così dolore, una volta preso finalmente coscienza di essere una delle sue insignificanti conquiste che lui deride senza ritegno e non l’Amore della sua vita.
Il tentativo vano, poi, di far fuoco anche su di sé: per un crudele gioco del caso, l’arma si inceppa e la donna viene disarmata.

Bollato, da subito, come un reato a sfondo passionale, il processo viene documentato e discusso da alcuni dei più grandi giornalisti dell’epoca come Dino Buzzati, Nantas Salvalaggio, Camilla Cederna.

Il tutto viene raccontato prima in un paio di minuti da una voce fuori campo, quella appunto del luminare che ha in cura l’omicida, poi in un colloquio, che, a tratti, sconfina nel dialogo monologante, con il direttore del manicomio criminale di Aversa, il Prof. Filippo Saporito, già ispettore generale alienista del Ministero di Grazia e Giustizia, indiscussa autorità nel campo, che, data la mente complessa della paziente, dopo studi, osservazioni ed esami approfonditi che addirittura analizzano i familiari per scoprirne un’eredità neuropsicopatica e l’indole religiosa, impiega più di un biennio per stilare la sua accurata perizia psichiatrica grazie alla quale alla rea viene riconosciuta la semi – infermità mentale, con il conseguente condono della restante parte di pena. Sconterà, alla fine, sette anni e 10 mesi per uscire dal carcere la vigilia di Natale del 1953.

Scenografia essenziale, una scrivania e due sedie: qualsiasi altro oggetto sarebbe stato superfluo, avrebbe distratto da quell’impellente necessità di condensare l’attenzione del pubblico sull’attore quanto a mimica, parola, presenza scenica, capacità di fusione totale degli animi degli spettatori in un solo unico palpito, come ci verrà confermato alla fine della rappresentazione dall’impeccabile regista, che, dagli inizi degli anni Novanta, alimenta quella magica fucina di talenti che è sempre stata il Téâtre de Poche di Napoli, di cui è codirettore artistico insieme a Massimo De Matteo e Peppe Miale.

Il lessico utilizzato, così come i costumi e le musiche, adeguati all’ambientazione anni Cinquanta.

La scelta di trattare proprio questa assassina, ci dirà l’autrice, è dovuta ad un interesse verso una figura mediatica così bersagliata, alla quale si è inizialmente accostata per via di alcuni aspetti che in qualche modo gliela avvicinavano, non ultima una certa somiglianza fisica. L’ha stimolata, dunque, questa donna di cui conosceva poco o nulla, di cui ha approfondito la storia per provare a capirne e carpirne le motivazioni profonde, facilitata dal fatto che i tanti anni trascorsi dalla vicenda le permettessero di analizzarla con un’obiettività e un distacco che non sarebbero stati possibili per eventi di cronaca più recenti.

La psicologizzazione dei personaggi è accurata e funzionale. Quella che nell’immaginario collettivo è descritta come algida e distaccata, appare, invece, fragile e gelosa. Impazzita per amore, non tollera che la spregiudicata e libera Mimi Guidi, al secolo Sandra Cozzi, di dieci anni più giovane, sia riuscita a far capitolare quello che lei credeva essere il suo uomo.

Intellettuale, colta, ricchissima, estrosa; la blasonata che ha ceduto ai capricci del cuore ed ha la mente annebbiata da quel “mostro dagli occhi verdi”, tuttavia affascina e divide l’Italia tra innocentisti e colpevolisti.

Infiniti i carteggi del processo: deposizioni, memorie, perizie, lettere, fotografie, ma anche tante poesie a testimoniare un animo tenero, sentimentale, dolce che trova conforto nella preghiera, che vive solo perché le impediscono di portare a compimento i suoi tentativi di suicidio. Quella stessa indole sensibile con cui si rivolge a Dio perché accolga a sé l’anima di una bimba morta; che, alle due figlie che vanno a trovarla in carcere, accompagnate dal padre, fa loro promettere di pregare per l’anima della madre, parlando di se stessa come se fosse già defunta.

Ulteriore pregio dell’opera sta nella delicatezza e nell’equilibrio con cui tematiche così scottanti ed arcinote vengono toccate. E non è affatto scontato.

Punzecchiata dalla nostra curiosità, l’autrice non esclude che questo possa essere solo un primo passo verso un ulteriore sviluppo del testo affinché diventi uno spettacolo più articolato e approfondito, senza nulla togliere che, già così, la pièce è assolutamente completa.

I prossimi appuntamenti con ‘Pia Bellentani – Come in un romanzo dell’Ottocento’, che consigliamo vivamente, saranno, domenica 7 aprile, ore 20:15, martedì 9 aprile, ore 21:45, e mercoledì 10 aprile, ore 19:30, sempre presso il Teatro TRAM di Napoli.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.