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‘Le ragioni’ di Tato Russo

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Tato Russo 'La ragione degli altri' ph. Tommaso Le Pera


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In scena al Bellini l’innovativa riscrittura de ‘La ragione degli altri’ di Pirandello

Giovedì 8 febbraio, ore 21:00, al Teatro Bellini di Napoli ha replicato lo spettacolo ‘La ragione degli altri’ da Luigi Pirandello, riscritto, diretto e interpretato da Tato Russo in scena fino all’11 febbraio, con Renato De Rienzo, Massimo Sorrentino, Armando De Ceccon, Giulia Gallone, Francesco Ruotolo, Giorgia Guerra, Claudia Balsamo, Riccardo Citro, Carolina Scardella, scene Peppe Zarbo, costumi Giusi Giustino, musiche Zeno Craig, disegno luci Roger La Fontaine.

Assistenti alla regia Davide Sacco e Riccardo Citro, responsabile tecnico Giuseppe Zarbo, realizzazione costumi Sartoria Farani Roma e Sartoria I Dominirosa Napoli, parrucche Artimmagine Napoli, scarpe Di Domenico Napoli, amministratore Renato De Rienzo, distribuzione Patrizia Natale, elettricista Antonio Licciardello, sarta Valentina Ciappa, fotografo di scena Tommaso Le Pera, grafica Ilenia Fusco, ufficio produzione Melina Balzamo.

Già dall’intervista che il Maestro Russo aveva rilasciato in esclusiva al nostro giornale avevamo ben chiaro che il lavoro drammaturgico di fondo fosse ambizioso ed importante, ma del resto l’artista partenopeo ci ha abituati ad operazioni del genere, condotte con eccellenti risultati, come nel caso dell’adattamento teatrale de ‘Il fu Mattia Pascal’, certamente non semplice e realizzato in modo magistrale.

Arriviamo, quindi, alla rappresentazione con la consapevolezza e l’attenzione che il progetto merita. Un’opera minore di Pirandello destrutturata, rivista in chiave metateatrale, deprivata delle sovrastrutture grottesche e para-filosofiche, per far emergere la carne e il sangue dei personaggi, la verità, per usare le parole dello stesso autore.

La rottura è immediatamente evidente, il sipario si apre su di un palco in allestimento, con il direttore di scena che esordisce in napoletano. In effetti l’opera si apre e si chiude con delle battute nella lingua partenopea, alla fine della rappresentazione sarà lo stesso Russo a farlo.

In scena una compagnia teatrale, i cui componenti hanno il viso rigorosamente coperto da maschere, che conserva i nomi reali degli attori, durante le prove de ‘La ragione degli altri’, palesando, così, già da subito, l’intento metateatrale.

Tato Russo dispiega in modo limpido il suo disegno, come ci aveva anticipato nell’intervista, la sua visione è chiaramente percepibile, nel suo doppio ruolo di regista e attore anche nella messa in scena. Attraverso le riflessioni e le indicazioni di regia, mostra completamente l’intento drammaturgico permeato da quell’autoironia del regista sui generis, nevrotico e dispotico, che mette continuamente in ridicolo i propri attori e che per sua stessa definizione non riesce ad essere d’accordo nemmeno con se stesso.

La metateatralità emerge anche dalla lettura delle didascalie del copione originale da parte del direttore di scena che interviene anche a suggerire le battute “sapientemente dimenticate” da Russo.

Man mano gli attori si “denudano” delle maschere, per loro stessa iniziativa, è quasi una scelta subita dal regista, chiara metafora di personaggi che in modo “autonomo” rifiutano il “format” imposto da Pirandello, si svelano, si riappropriano di quella carne e di quel sangue più volte richiamati, assumono vita, scrollandosi di dosso la patina di simulacri di un mondo borghese che non esiste più, con le sue dinamiche sociali ed interpersonali soppiantate da un nuovo modello di relazioni, per incarnare le proprie emozioni, le proprie ragioni, trasformando l’opera in qualcosa di epico, di autentico, di crudo.

I tagli apportati sono sintomatici di questa impalcatura originaria che viene smantellata per dare vita a qualcosa di attualizzato, che riprende e supera l’intento del drammaturgo siciliano, messo in dubbio e non in scena, appunto.

Della pièce sopravvivono solo le scene che sono funzionali, fino al culmine di un finale anche questo riscritto, anche questo imposto da un personaggio e immediatamente fatto proprio dal regista.

La bambina, contesa, strattonata dalle ragioni del padre, delle “madri”, quella vera e biologica, e quella che aspira ad esserlo, bambina il cui nome viene sostituito per farlo coincidere con quello reale della piccola Carolina che la interpreta in modo sorprendente, decide di sottrarsi a queste ragioni per affermare le proprie, scappando via, incapace di scegliere, ma soprattutto di sottomettersi a logiche che non comprende, che non le appartengono, che la riducono a merce di scambio, oggetto di ricatto o di rivincita.

In questo, anche, la grande attualità della rivisitazione di Russo, che riesce ad incarnare l’odierna condizione di bambini, sempre più sacrificati nel loro essere sangue e carne da egoismi personali, le cui “ragioni” sono mortificate da egoismi e ripicche di “adulti”.

Tutti perfettamente nella parte gli attori. Oltre il solito immenso, carismatico Tato Russo, ci ha particolarmente impressionato Armando De Ceccon, nella parte di se stesso ma soprattutto del Leonardo pirandelliano, che tira fuori un’interpretazione perfetta in ogni momento, che riesce ad essere, dall’inizio alla fine, una corda di violino che vibra di un’armonia costante ed intensa.

Intensità che caratterizza, soprattutto nella scena finale, Giulia Gallone, nei panni di Livia, e Giorgia Guerra che interpreta Elena, che difendono rispettivamente il matrimonio ormai alla deriva e il desiderio di maternità, anche se surrogato, e la maternità biologica che diventa “catena” per chi è stato il proprio uomo.

E lo fanno, così come da intenzione drammaturgica, in modo “carnale”, non mediato, spinte da passioni ed orgoglio, svestite le maschere ormai diventate inutili gabbie, limitanti per il dispiegamento di drammi interiori che sarebbero altrimenti stati sacrificati sull’altare di un manierismo formale ed inattuale.

Nell’assistere allo spettacolo, insomma, abbiamo ritrovato suggestioni che Tato Russo ci aveva trasmesso nell’intervista, ovviamente amplificate, sublimate dalla reificazione della messa in scena, ma soprattutto abbiamo compreso appieno la sua affermazione secondo la quale l’opera non ha bisogno di essere spiegata, basta vederla, perché nella drammaturgia sono presenti, in modo lampante, tutte le chiavi di lettura, rese palesi da una narrazione metateatrale, anche fitta di ironiche autocitazioni e rimandi, come nel caso del riferimento a ‘Il fu Mattia Pascal’ di Tato Russo o a ‘Sei personaggi’ o forse, “sei disoccupati in cerca di scrittura” che chiedono udienza al regista, possibile solo grazie alla genialità di un artista come l’autore napoletano.

Non manca nemmeno una pungente critica a quello che è diventato oggi il teatro, ai cani-attori o attori-cani che dir si voglia, che culmina nella frase finale:

La scena… se arriverà!… Nun se po’ fa’ cchiù, ‘stu mestiere!

Fortunatamente Artisti come lui questo mestiere continuano a farlo.

Foto Tommaso Le Pera

Tato Russo 'La ragione degli altri' ph. Tommaso Le Pera

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.