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L’Arte di essere William

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Al P.A.N. l’interessantissimo dibattito ideato da Gianmarco Cesario

Giovedì 26 maggio, ore 17:30, presso il P.A.N., Palazzo delle Arti di Napoli, Via dei Mille, 60, Napoli, abbiamo avuto il piacere di assistere all’interessantissima conferenza-dibattito ‘L’Arte di essere William’, nell’ambito di ‘Tutto il mondo è palcoscenico’, rassegna di teatri di ed intorno a mastro William Shakespeare (o quel che volete), direzione artistica di Gianmarco Cesario.

Validissimo esempio di quanto il genio di Shakespeare abbia influenzato nel corso dei secoli le varie arti e continui a farlo ancora oggi. Un plauso a Gianmarco Cesario che, con intelligenza ed originalità, riesce a sempre a trovare continui stimoli culturali.

Interventi illustri di Pasquale Amato, direttore del Capri Opera Festival, Roberto D’Avascio, docente e presidente ARCI Movie Napoli, Simonetta De Filippis, Docente Letteratura inglese alla Università l’Orientale di Napoli, Paola De Simone, critico musicale e di danza.

A moderare l’evento, in modo impeccabile, proprio Gianmarco Cesario, che apre i lavori facendo il punto della situazione sulla rassegna teatrale inaugurata lunedì 23 maggio al Nuovo Teatro Sancarluccio e che si concluderà il 28. Incentrata su quattro pièce che, partendo dalla drammaturgia del Bardo, sperimentano nuovi linguaggi e narrano nuove storie, oltre ad una serata d’onore conclusiva, con oltre venti artisti che, in modo personalissimo, omaggeranno il grande autore britannico.

L’intento della conferenza-dibattito ‘L’Arte di essere William’, prosegue Cesario, è offrire spunti di analisi su quanto le altre arti giovino della presenza di Shakespeare ed evidenziare la sua perenne attualità.

Passa, quindi, a presentare gli ospiti, che, ognuno per il suo settore, spiegheranno quanto rispettivamente letteratura, melodramma, cinema e danza, abbiano assorbito la drammaturgia shakespeariana e ne siano stati arricchiti, continuando tuttora a trarne ispirazione.

Simonetta De Filippis, soffermandosi specificatamente sullo Shakespeare letterato, rimarca il suo importante contribuito nella costruzione della lingua inglese e nello sviluppo della poesia che lo conferma grande innovatore e sperimentatore a tutto campo. Dobbiamo soprattutto a lui la forma definitiva del sonetto inglese, nato su traduzioni del modello di Petrarca adeguate alla cultura anglosassone: 14 versi suddivisi in tre quartine a rima alternata e un distico finale a rima baciata. Una struttura formale cui corrisponde un discorso contenutistico ugualmente strutturato: nelle prime due quartine, di solito, si descrive il problema, nella terza si riflette anche criticamente su di esso e nel distico finale c’è la conclusione/soluzione di cui il poeta ha cantato.

I suoi 154 sonetti sono dedicati a due oggetti d’amore: un bel giovane e la dark lady. La sua particolarità è appunto non cantare ideali, ma la verità e concretezza dei sentimenti. L’amore omosessuale viene descritto non tanto e non solo come fisico, quanto spirituale, intenso ed interiore. Così come viene decantata la bellezza che sfiorirà, il ‘devouring time’, il tempo che divora e necessariamente distruggerà la bellezza che, in parte, potrà continuare con la progenie, ma che sarà però eternata dalla poesia.

Già nella definizione fisica vi sono delle sovversioni al luogo comune della donna angelicata precedentemente cantata. La dama bruna è trasgressiva perché è una donna vera, concreta, con difetti.

In ‘Venere e Adone’ il Cigno dell’Avon descrive la dea che, in età piuttosto matura, viene colpita dalla freccia di Cupido e si innamora del giovane insidiandolo finché non ottiene il suo amore. Viene così tratteggiata una sessualità femminile attiva contro una maschile passiva.

Ne ‘Lo stupro di Lucrezia’ ad opera di Lucio Tarquinio viene mostrata non solo la violazione fisica, ma soprattutto quella dell’anima che getta la donna nella disperazione e la conduce al suicidio.

Temi come violenza, crudeltà, già trattati dalla tragedia senechiana, che purtroppo restano drammaticamente attuali, conclude la prof.ssa De Filippis.

È il turno di Pasquale Amato che ci illustra il melodramma ispirato a Shakespeare. Tanti autori si sono avvicinati ai suoi soggetti, ma nessuno ha mai tratto un racconto proprio dall’originale. A parte un timido tentativo di Rossini con ‘Otello’, ci è riuscito soltanto Verdi nelle tre opere ‘Macbeth’, ‘Otello’ e ‘Falstaff’. Fondamentalmente, chiosa Amato, la vera difficoltà del genere è accostarsi ad un autore che racconta la verità, in special modo nel ‘700 per motivi di censura, visto che al centro ci sono, solitamente, storie d’amore idilliache tra due soggetti e un terzo che si intrometteva per creare problemi alla coppia. Nella maturità quando Verdi decide di trovare dei nuovi stimoli, di sperimentare una nuova musica e una nuova drammaturgia teatrale, si accosta finalmente al Bardo. La difficoltà, rimarca Amato, è anche quella di inserire musicalmente nel racconto tragico una parte di commedia.

Segue l’intervento di Roberto D’Avascio, simpaticamente intitolato ‘Shakespeare goes to Hollywood’, che rimarca come, con l’avvento della settima arte, il suo potere comunicativo esploda sugli schermi, tanto che nei 100 anni di cinema sono stati realizzati circa 420 film che in qualche modo fanno riferimento a lui, con altri 20 attualmente in produzione in tutto il mondo. D’Avascio riferisce l’intrigante opinione del giornalista John Bleasdale secondo cui, se oggi fosse in vita il Bardo probabilmente si troverebbe perfettamente a suo agio in un mondo fatto di playhouse, di gente interclassista, di spin off; così come la sua agiatezza economica lo porterebbe, forse, a diventare un produttore cinematografico.

Affascinante è anche la lettura di un’anglista, secondo cui oggi Amleto potrebbe essere un detective che analizza, dubita, approfondisce attraverso un’inchiesta molto lacerante, allo stesso modo di come avviene nei noir americani, mentre Macbeth sarebbe paragonabile ad un gangster, che non si pone alcuna domanda, che impone la sua virilità, la sua violenza per arrivare al potere.

A differenza del cinema nel resto del mondo che, nella rappresentazione cinematografica di un’opera di Shakespeare, ha oscillato tra estremo rigore ed estremo sperimentalismo, Hollywood ha avuto un approccio meno formale e molto più libero; un esempio su tutti il cromatismo estremo del film ‘Macbeth’ di Justin Kurzel realizzato nel 2015.

Decisamente suggestivo, poi, il riferimento alla casa cinematografica Disney, che solo negli anni del suo ‘rinascimento’, 1988-89, dopo aver superato la crisi che la attanagliava, inizia a citare Shakespeare più o meno velatamente. L’esordio nell’88, in ‘Oliver & Company’, in cui dei cani su un divano guardano ‘Macbeth’ in tv; nel ‘92 in ‘Aladdin’, il pappagallo del protagonista si chiama Iago, nel ‘98 in ‘Pocahontas II’ viene messo in scena proprio il personaggio Shakespeare, mentre in ‘Toy Story’, i giocattoli animati rappresenteranno ‘Romeo e Giulietta’.

In particolare, poi, due cartoon che hanno sì favole di riferimento, ma soprattutto delle analogie che riportano alle sue opere sembrandone quasi una riscrittura: ‘La Sirenetta’ rimanda a ‘La Tempesta’; ‘La bella e la bestia’ a l’‘Otello’.

‘Il Re Leone’, invece, come dichiarato dalla casa cinematografica, è una riscrittura di ’Amleto’; l’uso del musical, il giovane protagonista, la storia sentimentale e tanto altro ricordano l’innovazione che ha fatto a suo tempo il Bardo nel teatro.

Se da un punto di vista formale le analogie non sono facili da cogliere, prosegue D’Avascio, quelle socio-politiche o storiche sono molto più interessanti; si può accostare l’89, anno di lancio del nuovo cinema di animazione che omaggia Shakespeare, al 1500 della Regina Elisabetta. L’89 è l’anno della sconfitta del Comunismo, del crollo dell’Unione Sovietica, in cui l’America diventa paladina della ‘libertà’ in tutto il mondo. Gli anni i cui il britannico fa la sua rivoluzione teatrale e drammaturgica sono critici; l’Inghilterra sta diventando stato nazionale forte, ha rotto i ponti con tutti gli altri paesi, anche da un punto di vista religioso, e rivendica libertà.

‘Aladdin’ è sì un cartoon, ma è anche un inno al libero mercato, al nazionalismo americano, alla libertà di quegli anni. L’ultimo riferimento in ordine temporale della Disney è ‘Gnomeo e Giulietta’, del 2011, evidente parodia del celebre dramma.

L’ultimo intervento è di Paola De Simone, che esamina l’influenza di Shakespeare nella danza, approfondendo lo studio di ‘Otello’ che, in assoluto, rappresenta la svolta verso la tragedia lirica moderna e la svolta sperimentale in termini drammaturgici e linguistici, sia nella stessa danza che nel teatro musicale. Decisamente intrigante come il coreografo Fabrizio Monteverde abbia reinventato non solo il rapporto tra la drammaturgia shakespeariana e con il corpo, ma anche con la musica, soffermandosi sull’analisi della diversità, dell’attualità di un amore e della gelosia folle che diventa delitto. Monteverde è intervenuto nel rappresentare dei corpi che sono sicuramente il veicolo della trama shakespeariana, ma soprattutto del non espresso, del mondo latente, delle pulsioni violente verso l’alterità, che emerge nell’interscambio dei ruoli. Dal punto di vista della trama, i tre personaggi principali sono quelli del triangolo classico: Otello, protagonista, Iago, antagonista, Desdemona, oggetto del desiderio, ma, in qualche modo cambiati. Otello, con la sua fisicità, diventa l’emblema della forza, fin quando Iago non insinua il dubbio; Desdemona è diversa perché non più spiritualità o sublimazione, ma donna ostinata, quasi fastidiosa, che cerca qualcosa dal suo uomo; Iago, personaggio ambiguo.

I ruoli cambiano, c’è una fluttuazione di personaggi che sono maschere di qualcos’altro e, intorno a loro, altri caratteri che interagiscono di continuo. Lo stesso spazio scenico è rivisitato per divenire un crocevia, un luogo di incontro degli stranieri, dei diversi. Il punto focale è la diversità di Otello, il suo essere straniero, appunto, l’osservarlo fino all’esplosione di quella gelosia folle, che in linea con la trama canonica, lo porta all’uccisione di lei. Si analizzano gli istinti basici dell’umanità che in realtà sono il vero oggetto d’interesse verso la drammaturgia shakespeariana. La scelta dei costumi, fetish, sadomaso, mostra le pulsioni latenti inespresse e una serie di relazioni che scaturiscono attraverso i ruoli in campo. Musicalmente, continua l’esperta, Monteverde ha creato un collage strepitoso, articolato in modo da creare una sorta di drammaturgia parallela su partitura. I vari linguaggi si intersecano e si crea uno Shakespeare nuovo, sempre attualissimo, che punta il dito contro ciò che è sempre stato insito nell’uomo, una verità nascosta che è emersa attraverso le varie opere.

Terminata la conferenza-dibattito, non si può che rimanere estasiati da una serie di riflessioni così intense e profonde che mostrano quanto il grandioso William sia in grado di trasmetterci ancora tutto il suo fervore creativo.

Ringraziamo tutti e, in special modo, il direttore artistico della rassegna, Gianmarco Cesario, capace con le sue splendide intuizioni, di regalarci momenti magici e di grande Cultura.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.