Home Rubriche ArteFatti L’alba dello Stato. Tra Archeologia, Antropologia e Sociologia

L’alba dello Stato. Tra Archeologia, Antropologia e Sociologia

1753
Hobbes, Leviatano


Download PDF

Un quadro cronologico e geografico complesso quello protostorico che si rivelò uno dei passaggi essenziali dell’evoluzione di molte delle società protourbane occidentali e orientali: un periodo in cui l’autotrasformazione delle società avrebbe spalancato le porte alle città, alla scrittura e a forme centralizzate di governo: allo Stato.

Questo cambiamento profondo, che ha visto la trasformazione dell’ambiente da parte dell’uomo per mezzo della manipolazione della materia, la sedentarizzazione in comunità di villaggio prima e in città poi, lo sprigionamento dei flussi demografici fino alla saturazione di uno spazio sempre più antropizzato, il mutamento della società da cui sarebbero presto emerse élite e ruoli centrali di potere, l’elaborazione di linguaggi simbolici e la formulazione di concetti ideologici sempre più complessi, portarono a una rottura con le epoche precedenti in virtù di una maturazione intellettuale, un’eccitazione cognitiva, un impulso che spinse l’uomo a immaginare nuove rappresentazioni di sé e a sperimentarle nella volontà di comporre altri codici di vita sociale.

Affrontare la questione della nascita dello Stato, porta inevitabilmente a dover sollevare una serie di domande alle quali l’archeologia da sola ha dimostrato, purtroppo, di non saper rispondere se si considera la Disciplina funzionale soltanto al mero studio formale dei materiali.

Perché gli abitanti dei villaggi si sono urbanizzati? Perché hanno sostituito l’espressione orale con quella scritta? Perché gli dei sono subentrati agli antenati? Perché popolazioni fluide, egualitarie, dove ognuno disponeva di un margine di manovra sostanzialmente identico, sono state sostituite da società basate sull’ineguaglianza, verticali, piramidali, artificiali, spesso integrate in un sistema coercitivo? Soprattutto cosa si intende per società? Cosa è una società?

Ai fini di una corretta ricostruzione storica di orizzonti cronologici così ampi, come quelli preistorici e protostorici, in cui la mancanza di testimonianze scritte rende la ricerca scientifica complessa, interdisciplinare e al tempo stesso stimolante, si impone una riflessione sul metodo e sugli strumenti di ricerca.

È evidente l’impossibilità di esaminare contesti archeologici e socio-culturali attraverso l’applicazione di vere e proprie leggi dei processi storici e dell’evoluzione della società, come la sequenziale evoluzione socio-politica: banda, tribù, chiefdom, stato, teorizzata dagli antropologi neoevoluzionisti, data la pluralità dei fattori e delle caratteristiche che coesistono in qualsiasi contesto sociale del presente o del passato.

È interessante, però, notare come alcune discipline quali l’antropologia culturale e la sociologia, accanto all’archeologia, alla geologia e all’archeometria, riescano, partendo da una visione analitica del presente, a stimolare alcune riflessioni e a intersecarsi ai fenomeni socio-culturali del passato in un rapporto dialettico costante.

Passato e presente comunicano attraverso tutte queste discipline, si interfacciano, si confrontano arricchendo il punto del discorso in maniera sinergica, poiché attore al centro della scena naturale è lui, da sempre: l’uomo.

Le teorie e i metodi che la sociologia propone possono in un certo senso essere considerati strumenti per pensare l’uomo, il mondo. Esse sono un modo di rappresentare e ordinare, attraverso adeguate narrazioni, l’esistenza collettiva. La società è un insieme di relazioni stabili e in parte istituzionalizzate che coinvolge individui e gruppi di individui che fanno sì che la società possa essere considerata un fenomeno essenzialmente relazionale, basato su processi culturali e comunicativi.

Le narrazioni rappresentano un po’ il tessuto di cui è costituita la tela del cosiddetto immaginario collettivo, di quell’insieme di conoscenze tacite che comunemente condividiamo con tutti i membri dei gruppi ai quali apparteniamo, che costituisce lo sfondo che ci consente di vivere insieme senza dover fare alcuno sforzo di comprensione teorica.

Insomma, le narrazioni che servono ad alimentare l’immaginario collettivo sono le radici stabili su cui si fonda la cosiddetta conoscenza di senso comune, cioè la nostra indubitabile e quotidiana certezza di far parte di una realtà sociale stabile e duratura.

Le società sono prodotti di un’attività umana di carattere assolutamente immateriale; da qui, a volte, la difficoltà intrinseca del metodo archeologico che fonda le sue ricostruzioni storiche sullo studio degli oggetti materiali. Si tratta di prodotti sociali a tutti gli effetti, nel senso che la loro realizzazione avviene esclusivamente a seguito dell’azione reciproca di individui o gruppi di individui in grado di attribuire senso e significato intenzionale al proprio agire.

È necessario a questo punto introdurre un altro concetto sociologico, assolutamente inscindibile da quello di società e alla base degli studi archeologici: il concetto di cultura.

La cultura è il prodotto dell’attività umana. Ogni prodotto scaturito dall’attività umana può essere definito un prodotto culturale. Ciò che è però assolutamente necessario rilevare, riguarda le caratteristiche di una tale produzione: gli uomini sono infatti in grado di dar vita sia a prodotti culturali materiali che a prodotti culturali immateriali.

I primi, cui è possibile accedere direttamente attraverso i sensi, sono costituiti da materiali naturali o trasformati: i matalli ad esempio, sono il prodotto della trasformazione dei minerali attraverso i processi di fusione, e contribuiscono a creare quella che viene definita la realtà materiale in cui siamo immersi. Da sempre l’uomo si è circondato di realtà materiale: oggetti in cuoio, legno, osso, vasellame di ceramica, vetro, metalli.

Ciò che va rilevato è che, oltre di realtà materiale, il nostro mondo è ricco di realtà immateriale. Innanzitutto fanno parte di questa categoria il linguaggio e tutti i suoi sottoprodotti: i pensieri, i concetti, le idee, le ideologie. Materiali o immateriali che siano, tali prodotti dell’attività umana sono a tutti gli effetti dei prodotti culturali.

La società, quindi, può essere definita come un prodotto umano, nient’altro che un prodotto dell’attività umana. Essa non ha altra esistenza se non quella che le viene conferita dall’attività e dalla coscienza dell’uomo. È proprio all’interno della società, infatti, e proprio come risultato di complessi processi sociali, che l’individuo diventa tale, diventa cioè persona che acquisisce e mantiene un’identità.

Il processo attraverso il quale l’uomo si riversa nel mondo circostante, lo modella, al fine di costruire una realtà adatta alla sua sopravvivenza viene definita da Peter Berger

una vera e propria necessità antropologica.

L’uomo, da come lo conosciamo empiricamente, non può essere concepito prescindendo dall’incessante riversamento di se stesso dal mondo in cui si trova; non può venire inteso come un essere ripiegato su se stesso, chiuso in una qualche sfera d’interiorità, e che poi cominci a esprimersi nel mondo che lo circonda. L’essere umano si esteriorizza nella sua essenza e fin dall’inizio. Questo fondamentale fatto antropologico ha molto probabilmente le sue radici nella costruzione biologica dell’uomo.

Semplificando, essendo biologicamente privo di un mondo fatto per sé, l’uomo è costretto a costruirselo. Il risultato di tale costruzione è ciò che chiamiamo cultura, il cui scopo fondamentale è quello di dare alla vita umana quelle solide strutture che biologicamente le mancano. Ciò spiega il bisogno dell’uomo se vuole sopravvivere a costruirsi e a compensare la sua carenza dominando la natura attraverso la creazione della cultura.

L’uomo crea estensioni di sé per dominare una realtà che altrimenti non sarebbe in grado di controllare. Se non l’avesse fatto sarebbe scomparso. Questa ipotesi di tipo culturologico è fondata su dati e teorie di tipo eminentemente antropologico.

La cultura consiste nella totalità dei prodotti dell’uomo. Alcuni di questi prodotti sono materiali, altri no. L’uomo produce attrezzi d’ogni genere tramite cui modifica il suo ambiente fisico e piega la natura al proprio volere. L’uomo produce anche il linguaggio e, sulla base e per mezzo di esso, un importante edificio di simboli che permeano ogni aspetto della sua vita. È anche in tal senso che l’archeologia dovrebbe intendere e approfondire la centralità dei processi comunicativi attraverso lo studio dei simboli che i materiali archeologici rappresentano.

Un’altra visione interessante dello sviluppo culturale dell’uomo è quella di Karl Popper: è possibile paragonare l’evoluzione del mondo della cultura, con quello del mondo animale, nel senso che, così come l’evoluzione animale procede in larga misura attraverso l’emergenza di nuovi organi e della loro modificazione, così l’evoluzione della cultura umana procederebbe, per la maggior parte, attraverso lo sviluppo di nuovi organi al di fuori del corpo.

L’uomo, cioè, invece di sviluppare migliori occhi e migliori orecchie, produce lenti, poi occhiali, microscopi, telescopi. Invece di sviluppare gambe sempre più veloci, utilizza asini, cavalli, carri, automobili, aerei. E invece di sviluppare memorie e cervelli migliori, l’uomo inventa la scrittura, i supporti scrittori: prima tavole d’argilla, supporti lapidei, poi carta, macchine da scrivere, computer. Produce soprattutto linguaggio.

Sul linguaggio si fonda tutto l’edificio cognitivo e normativo che noi definiamo conoscenza. Sappiamo che ogni società impone un ordine comune di interpretazione dell’esperienza, ordine che diventa conoscenza oggettiva.

Fare parte di una società vuol dire condividerne la conoscenza e la sostanza di cui si compone la società, sostanza rappresentata dagli individui che, interpretando dei ruoli specifici, ne incarnano il senso e ne elaborano il significato. Senza non potrebbe esistere nessuna istituzione. Si tratta di un processo sociale la cui comprensione può essere meglio approfondita facendo appunto riferimento al fenomeno della cosiddetta oggettivazione.

Con il processo di oggettivazione, il mondo umanamente prodotto, la cultura, diventa qualcosa che sta al di là di noi, sta al di fuori. Esso consiste in oggetti capaci di resistere ai desideri dei loro produttori. Il che, in poche parole vuol dire che una volta prodotto, questo mondo non può essere spazzato via da un semplice desiderio. Esso è là, nella sua incombenza, sempre nella sua oggettività.

L’uomo costruisce un attrezzo agricolo e tramite tale azione arricchisce la totalità degli oggetti fisici presenti nel mondo. Una volta prodotto, però, l’attrezzo acquista una vita propria, può persino giungere a imporre la sua logica agli utenti, a volte in un modo che può anche non risultare loro particolarmente gradevole.

Un aratro, un falcetto dell’Età del Bronzo, per esempio, per quanto prodotti umani, sono oggetti esterni nel senso che avranno costretto, con ogni probabilità, i suoi utenti a riorganizzare l’attività agricola, di conseguenza la loro vita e di riflesso la società in cui gli utenti e i costruttori dell’aratro e i fabbri del falcetto erano inseriti, senza che questi ultimi ne fossero consapevoli, né che lo immaginassero, né che lo volessero.

Un uso di un aratro più profondo, derivato da una tecnica più facile di aggiogamento dei buoi, modificò notevolmente l’agricoltura elevando considerevolmente la produttività agricola, la demografia e contemporaneamente il benessere generale.

Durante l’epoca protostorica le società erano veramente consapevoli della profonda trasformazione che la tecnologia del bronzo stava apportando al loro modus vivendi? L’aumento della produzione agricola quanto e come incise sulla connotazione sociale dei fabbricanti di falcetti? Quali meccanismi di trasformazione sociale videro coinvolto il possessore dell’aratro? L’aumento esponenziale della popolazione durante il Bronzo Medio a quali contingenze politico-economiche portò? I protostorici erano pronti ad affrontare queste trasformazioni? Ma soprattutto, le riconobbero? Seppero accompagnarle?

I dati archeologici testimoniano l’allargamento spaziale e quindi l’aumento demografico delle società dovuti, appunto, a una molteplicità di fattori che trovarono nella tecnologia del bronzo l’apice dell’evoluzione culturale di una società, che fino a quel momento, fu in definitiva economicamente e politicamente comunitaria e orizzontale, orizzontalità testimoniata dall’assenza di corredi funerari, distintivi dello status sociale in vita del defunto, nelle sepolture a incinerazione e dall’omologazione delle case, e che successivamente necessitò di una nuova forma di organizzazione politica e sociale che guidasse in maniera proficua e funzionale una società allargata, diversificata al suo interno e quindi più articolata: lo Stato.

La società forma la coscienza individuale. Proprio in seguito all’interiorizzazione, l’individuo si appropria contemporaneamente di vari elementi del mondo oggettivato traducendoli in fenomeni interni alla sua coscienza e distinguendoli dai fenomeni della realtà esterna.

In effetti ogni società che si prolunga nel tempo, o che ne abbia la pretesa, si trova a fronteggiare il problema della trasmissione da una generazione all’altra dei suoi significati oggettivati, della sua conoscenza oggettivata.

Questo problema viene affrontato mediante i processi di socializzazione, vale a dire i processi tramite cui s’insegna a una nuova generazione a vivere in accordo con gli apparati fondanti della società, le istituzioni, che vuol dire non solo far apprendere alla nuova generazione i significati della cultura, ma anche i ruoli e le identità.

E questo avviene anche attraverso un processo di identificazione che permette al singolo abitante di questo universo di modellarsi, di costituirsi, attraverso questi significati.
Lo scopo ultimo della socializzazione è la costruzione di una simmetria o corrispondenza tra la cosiddetta realtà oggettiva, quella che è al di fuori di noi, e la realtà soggettiva, quella che percepiamo internamente.

In altre parole la società, generalmente, pretende che i suoi significati siano uguali ai nostri significati. Questa è una pretesa impossibile ad attuarsi perché la socializzazione, per una serie di motivi, è sempre imperfetta. Va detto inoltre che una socializzazione troppo parziale finisce per mettere in crisi la società stessa, poiché nessuno condividerebbe i significati e i valori che la società si è data. Anche qui va sottolineato come emergano i problemi fondamentali della trasmissione dei messaggi e la condivisione del significato.

Nel momento in cui l’individuo interiorizza l’insieme dei significati che la società gli impone riesce a dare ordine soggettivo alla propria esperienza, dà un senso alla propria identità.
E cioè ordina gli elementi della sua passata esperienza e li integra nell’ordine societario.
Il tempo acquista un senso: passato, presente e futuro diventano quel continuum necessario per l’esistenza dell’individuo.

La sensazione che affiora studiando il percorso evolutivo delle società protostoriche, dalla nascita, allo sviluppo, fino alla nascita dello Stato, è quella di un profondo scollamento tra gli apparati fondanti l’organizzazione orizzontale.

La conoscenza oggettivata delle generazioni protostoriche, tramandata alle generazioni successive, non permise a queste ultime di sopravvivere poiché dovettero confrontarsi con una società in trasformazione che si trovò ad affrontare cambiamenti profondi: climatici, spaziali, demografici, il disboscamento territoriale e l’abbassamento della falde acquifere, per i quali i vecchi codici, che appaiono dagli studi condotti finora, comunitari e orizzontali, si dimostrarono inefficaci.

Inoltre, se da un lato la tecnologia del Bronzo costituì un avanzamento e un enorme beneficio per tutte le attività umane: dall’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato, dall’altro però, dovette porre necessariamente le nuove generazioni di fronte alla necessità e all’urgenza di riorganizzare i rapporti di forza, i ruoli e le istanze delle società. È l’alba dello Stato.

Print Friendly, PDF & Email

Autore Marilena Scuotto

Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.