Il campo di internamento a Ferramonti di Tarsia (CS)
Ci sono ricorrenze che riportano alla memoria orrori che nessun essere umano dovrebbe mai mettere in pratica, come il Giorno della Memoria, dedicato alle vittime della Shoah, termine giudaico usato per designare lo sterminio del popolo ebraico vittima dell’Olocausto.
Una giornata, quella del 27 di gennaio, in cui viene raccontata la disumana tragedia, scatenata dalla follia di una mente malata, accecata dal potere e libera di esternare senza limiti, brutali oppressioni contro il popolo semita.
Vittime di questa persecuzione razziale, gli ebrei furono deportati in campi di concentramento e di sterminio, dove finivano la loro esistenza in schiavitù, dentro camere a gas o in forni crematori.
L’unica possibilità di salvezza rappresentava la fuga all’estero, dove le leggi nazifascite non potevano raggiungerli, oppure il rifugiarsi segretamente presso persone pie ospitanti, consapevoli delle conseguenze a cui sarebbero andati incontro, se scoperte.
Alla luce di ciò è d’obbligo chiedersi: com’è possibile inseguire una causa così aliena da ogni logica umana e lasciarsi guidare da chi alimenta odio, razzismo, massacri e inneggia allo sterminio di un’intera etnia?
Se è vero che la storia insegna, l’umanità dovrebbe essere ben consapevole delle conseguenze generate dalle guerre, ben documentate da storici del tempo, e che, con continuità, ritroviamo riportate sui libri, ma con una differenza:
Se anticamente grandi sovrani e condottieri come Alessandro Magno, Pietro il Grande e Napoleone Bonaparte, solo per citarne alcuni, marciavano in testa all’esercito, patendo con i loro soldati fatiche, fame, dolori e malattie, ora queste abilità sul campo hanno lasciato posto a leader attivi solo nel dettare ordini, al sicuro dentro i loro bunker.
La scia di sangue partita dalla Germania ha vergognosamente contaminato anche l’Italia, lo sappiamo bene, ma di quanti orrori e massacri è responsabile la nostra terra?
Quanti in quegli anni di paura furono confinati nel Belpaese e in Calabria?
Tantissimi! Troppi!
Oltre 3.000 solo nel campo di internamento in Calabria, a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, il più grande d’Italia!
Un edificio testimone di questo abominio, un campo ricavato da zone paludose, dove proliferavano malattie come la peste e la malaria, che hanno profondamente minato la sopravvivenza dei prigionieri.
Ma, nel buio della disperazione più profonda, non si sono lasciati scoraggiare e hanno guardato oltre la loro condizione, senza compiangersi, attivandosi a rendere il luogo e la sopravvivenza più dignitosa.
Coloro che vennero deportati a Ferramonti, infatti, furono più fortunati rispetto ai segregati degli altri lager, perché solo qui furono considerati esseri umani e non animali da macello.
Ma chi, negli anni del terrore dove la vita umana e la sua dignità erano determinati dalla propria etnia, rischierebbe la vita e quella dei propri cari, per aiutare uomini e donne senza più nulla se non la spaventosa condizione in cui erano stati ingiustamente trascinati?
Tra i pochi uomini dotati di un simile coraggio e di saldi principi morali, spicca la figura del Maresciallo Gaetano Marrari, che in quegli anni operava a Ferramonti.
Rimangono ancora le lettere degli internati che raccontano della stima e dell’affetto che nutrivano verso quell’uomo in uniforme e tutti i pericoli che aveva corso per proteggerli.
Uno degli aneddoti più raccontati riguarda un’annunciata ispezione delle truppe tedesche nel campo dove sicuramente, molti internati avrebbero trovato la morte!
Il Maresciallo Marrari, dopo aver fatto evadere molti prigionieri ben armati dal campo e posizionate le mitragliatrici, pensò, insieme al padre cappuccino Callisto Lopinot, di far issare una bandiera gialla, per far credere che quel luogo era in corso un’epidemia di colera!
L’idea funzionò e nessun soldato fece ingresso nel campo! Un atto eroico quanto geniale, che ha permesso di salvare molte vite innocenti armandosi di astuzia!
Favoriti e confortati dalla presenza di persone a capo del Campo, gli internati riuscirono a trovare un equilibrio, che ha permesso loro di sopravvivere con dignità, nonostante la condizione di disperati.
A differenza degli altri centri di prigionia, nessun recluso a Ferramonti è mai morto per maltrattamenti, sevizie o forni crematori.
Solo in questo campo, infatti, si creò un clima sociale tollerabile, capace di fronteggiare e gestire differenti estrazioni sociali e divergenze culturali, aprendo un dialogo con i vertici del potere del campo di prigionia, i quali avevano compreso la loro condizione senza mai infierire, anzi, adoperandosi per sostenerli, permettendo loro anche di celebrare i propri riti, di far studiare i bambini, di provvedere, per quanto possibile, al recupero di generi primari e medicinali, il tutto con grande umanità.
Grazie a tutti gli uomini e agli eroi come il Maresciallo Gaetano Marrari, Comandante del Corpo di pubblica sicurezza nel campo di internamento di Ferramonti, l’Ingegnere Isdrael Kalk, il frate cappuccino padre Callisto Lopinot, che, con umanità ed altruismo, si sono attivati in ogni modo, anche violando le leggi razziali, per sostenere famiglie, bambini e malati, negli anni in cui si è consumata una delle pagine di storia più disumane della nostra civiltà.
Ci auguriamo che rimanga sempre viva la memoria dei grandi uomini che si sono distinti per la loro l’umanità scegliendo di salvare vite anche a costo della propria!

Autore Daniela La Cava
Daniela La Cava, scrittrice, costumista, storica del Costume. Autrice di volumi sulla storia del costume dal titolo "Il viaggio della moda nel tempo". Collabora con terronitv raccontando storie e leggende della sua terra, che ha raccolto nel volume "Calabria: Echi e Storie di una Terra tra due Mari".