Fresca e frizzante, alleviava la calura estiva e le giovinette del Chiatamone la portavano fino a casa
Ieri sera ero a cena con un editore napoletano e tra un piatto e l’altro il discorso è caduto sull’acqua delle mummarelle, in voga fino alla metà degli anni Settanta, consumata per strada e di come alleviasse la calura estiva.
Si tratta di un’antica tradizione napoletana, la vendita di acqua minerale sulfurea e prendeva il nome dalle venditrici, di solito giovani ed avvenenti figliole, note, appunto, come mummarelle.
Il termine deriva da ‘mummia’, una sorta di allusione alla qualità dell’acqua, che veniva venduta come un rimedio miracoloso, paragonato a una sorta di elisir di lunga vita.
Infatti, grazie ai suoi effetti benefici per il corpo e la salute, a quest’acqua, soprattutto dalle persone anziane, venivano attribuite proprietà curative. Si credeva che potesse aiutare nella digestione, alleviare i dolori articolari e perfino migliorare la pelle.
La sua qualità, seppur legata ad una certa mitologia popolare, veniva apprezzata per il suo sapore particolare e la sua freschezza.
L’acqua proveniva dal monte Echia e sgorgava dalla fonte di Santa Lucia di via Chiatamone. Anche se veniva consumata alla fonte, era anche venduta in bottiglie di vetro, spesso ricoperte da paglia o da pezzi di stoffa per mantenere l’acqua fresca durante il trasporto.
I venditori giravano per le strade di Napoli con contenitori speciali, di solito taniche o bottiglie, e la offrivano a chi ne aveva bisogno, soprattutto nei giorni più caldi d’estate.
Le mummarelle erano, dunque, facilmente riconoscibili per il loro carico d’acqua e per i canti o le urla con cui promuovevano il loro prodotto. L’acqua veniva venduta a poco prezzo e consumata direttamente per dissetarsi o utilizzata nelle case per diverse necessità. I partenopei la usavano anche per le pulizie quotidiane, per esempio per lavare i panni, oltre che per bere.
Un aneddoto curioso riguarda il modo in cui le mummarelle facevano il loro lavoro, spesso creando anche una sorta di rituale con i clienti. Non solo vendevano l’acqua, ma diventavano anche una sorta di psicologa di chi, per vari motivi, si intratteneva a parlare con loro, confidandole i loro segreti.
Mentre queste giovani ed avvenenti ragazze giravano per la città vendendo l’acqua suffregna a chi cercava refrigerio, l’acquaiuolo, colui che possedeva un chiosco, di solito all’incrocio delle strade principali, metteva in bella mostra ‘e mummarelle, anfore in terracotta che riuscivano a conservare l’acqua solfurea sempre fresca e frizzante, che poteva essere servita anche con un pizzico di bicarbonato.
Oggi nessuno la vende più, sia perché la fonte è stata chiusa sia per i moderni impianti di distribuzione dell’acqua potabile e del commercio dell’acqua minerale. L’acqua viene ormai distribuita da fontane pubbliche o acquistata in bottiglie dai supermercati.
Tuttavia, Napoli è una città dove la memoria storica rimane viva e, in alcune strade della città, si possono ancora udire, nelle chiacchiere o nelle storie raccontate, riferimenti a queste figure che, con il loro carico d’acqua, raccontano la tradizione di un tempo passato.

Autore Mimmo Bafurno
Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.