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La sfogliatella e la santarosa: la vergine e la violata

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Santarosa e Sfogliatella Pasticceria Attanasio - ph Rosy Guastafierro


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La storia si ripete; come le chiese hanno soppiantato i templi dedicati alle antiche divinità anche nell’arte culinaria la metamorfosi si compie in un’alternanza tra innocenza verginale e offerta peccaminosa sino a ritornare, nel chiuso dei monasteri, simbolo di austera castità.

Stiamo parlando del più sconcertante dolce napoletano ovvero la sfogliatella riccia, le cui origini vantano duemila anni di storia in una terra lontana e ancora oggi martoriata: Pessinunte in Frigia, odierna Siria, dove veniva venerata la Magna Mater Cibele, la prima fra gli dei, l’eterna, divinità della Terra, protettrice dei campi e dell’agricoltura.

In suo nome si celebravano i Sacri Misteri con cerimonie di iniziazione e banchetti rituali. Le offerte spesso erano composte da cibi che, in qualche modo, erano legati simbolicamente alla stessa divinità.

Neapolis, colonia greca, non rimase estranea a questa pratica e proprio nella Crypta Neapolitana, notte tempo, si svolgevano quei rituali dove, alle sacre iniziazioni misteriche si sovrapponevano sfrontati baccanali, un misto di erotismo e violenza affinché la fecondità fosse propiziata.

La Grotta Puteoli fu scavata sotto la collina di Posillipo nel I sec a.C. su mandato di Lucullo, come collegamento forse militare tra Napoli e i Campi Flegrei. Come in tutte le cose di Neapolis la leggenda la vuole opera di Virgilio, che la scavò in un’unica notte; il Mago amò fortemente quel luogo, che nel dì dell’equinozio lasciava che il sole al tramonto l’attraversasse, tanto da desiderarvi il riposo eterno.

I culti primitivi avevano come prerogativa di inneggiare alla fertilità sia della terra sia della continuità della specie, indicata da Frazer come la chiave di tutte le mitologie allorché l’uomo può rigenerarsi nella certezza di essere nel mondo.

In particolare, intorno all’altare le vergini vestali offrivano alla Magna Mater e distribuivano agli adepti panetti dalla forma triangolare che, in maniera più o meno chiara, richiamavano alla mente la forma del sesso femminile che, fino ad allora, rimanevano nell’alveo del lecito e del casto. La cerimonia, poi, si elevava, prevedendo un forte coinvolgimento sessuale più o meno violento.

Queste pratiche propiziatorie della fertilità trovarono la loro massima espressione allorquando il nume di Lampsaco, Priapo, figlio di Bacco e Venere, dio della fecondità e degli amori dissoluti, dal fallo spropositato, sostituisce Cibele, ma l’offerta del panetto speziato di forma triangolare resta, perdendo ormai ogni forma di purezza per inneggiare all’erotismo più smodato.

La licenziosità dei culti che si svolgevano nel delubro Puteoli la ritroviamo descritta nei frammenti che ci sono pervenuti del Satyricon di Petronio Arbitro, I sec d.C., che narra il rito sacro officiato dalla sacerdotessa Quartilia in quella grotta vicina al sepolcro di Virgilio.

A questi momenti potevano prendere parte solo donne già sposate o avvezze alle delizie del sesso.

In questo luogo così particolare troviamo, attraverso i secoli, la sovrapposizione delle divinità; il sopraggiungere del Cristianesimo, inesorabilmente, tenta di distruggere tutto ciò che di pagano e di licenzioso esiste, stessa sorte viene riservata all’altare, al cui posto si innalzata una cappella dedicata a Santa Maria dell’Idra.

Il cambio di rotta e il trascorrere degli anni non cancellano del tutto le tracce di antiche tradizioni riprese e trasformate nelle tarantelle complicate eseguite agli inizi di settembre durante la festa di Piedigrotta dedicata alla nascita della Vergine. Ancora agli inizi del XX secolo le donne sposate si recavano in pellegrinaggio alla prima uscita di casa, dopo il matrimonio, per chiedere alla Vergine il dono della fertilità.

Anche il panetto triangolare e speziato continua il suo percorso, indossando nuovamente il vestito di pudicizia e candore all’interno dei conventi claustrali che, come già accennato, custodivano gelosamente le modalità di preparazione di quelle delizie offerte solo a pochi. Proprio per questo, diventava ambita non solo la ricetta, ma anche il procedimento segreto che portava alla sua realizzazione.

Il primato della sfogliata era detenuto dal Convento Croce di Lucca sito in via dei Tribunali, una parte del quale è stata poi inglobata nella costruzione del Vecchio Policlinico.
Le migliori famiglie della nobiltà partenopea facevano a gara per assicurare l’ingresso di una delle proprie figlie al Monastero delle suore Carmelitane.

Il principe di Cellammare, nel XVII sec., con importanti elargizioni servite a ricostruire la navata principale, aveva assicurato addirittura le sue tre figlie che, in virtù di ciò, godevano di vari privilegi, in particolare la libertà di ricevere sia la madre che qualche amica.

Le tre sorelle, o forse la più giovane delle tre, infransero la regola del silenzio, principio indiscutibile per un convento di clausura, persino svelando le modalità di preparazione della famosa sfogliatella che, presto, si propagò nelle cucine dei vari eremi fino a giungere in costiera amalfitana, tra Conca de’ Marini e Furore, al Convento delle Suore di Clausura di Santa Rosa da Lima.

Inutile sottolineare che, proprio qui, avvalendosi delle delizie del posto, come la semola di Praiano e la ricottella di Agerola, la sfogliatella assume il sapore attuale rimanendo con la tradizionale forma triangolare.

Ma non basta, le sorelle danno un tocco tutto loro al fragrante panetto, sulla parte finale del triangolo, tra un riccio e l’altro di pasta sfoglia, aggiungono della crema pasticcera, ricca dei limoni del posto, e, come vezzo, una cerasa, piccola leccornia fatta con le amarene della costiera. Ecco che l’antica e casta sfogliatella offerta a Cibele dalle vergini sacerdotesse ritorna peccaminoso e sfacciato simbolo erotico nella santarosa ad opera di monache claustrali.

Entrambe le versioni restano ancora per un secolo ad appannaggio di prelati e nobiltà; i signori dell’epoca si vantano di poter offrire al termine dei propri pranzi il dolcetto che, rientrato in città, mantiene il contenuto, ma rimpiccolisce il formato ed elimina crema e amarena.

Il popolo napoletano dovrà attendere la metà del XIX secolo e l’audacia unita alla necessità del cavalier Pintauro, che, da oste, si trasforma in pasticcere, per poter gustare in quello stesso terraneo in via Toledo il dolce prelibato.

Oggi la sfogliatella non è più soltanto riccia, troviamo anche la frolla, definita anche la variante laica: il ripieno è lo stesso, ma il panetto è liscio e friabile.

Ogni volta che sento la parola sfogliatella, immediatamente, le mie narici si riempiono di un profumo inconfondibile, proveniente dal retrobottega della Pasticceria F.lli Attanasio di vico Ferrovia dove sono cresciuta, iniziata al gusto dell’antico panetto di Cibele della cui versione amalfitana porto il nome!

Foto Rosy Guastafierro – Pasticceria F.lli Attanasio

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.