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La prossima bomba

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Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia.
Nelson Mandela

Abbiamo messo da parte certi temi che fino a qualche giorno prima occupavano doverosamente lo spazio che meritavano, tipo l’immigrazione, per dare ampio riguardo alla pandemia che si abbattuta sul mondo.

Almeno giornalisticamente il 65% delle notizie pubblicate e commentate impattavano il Covid-19. Come se il virus avesse determinato un mutamento generale delle abitudini e delle urgenze dell’uomo, avesse, quindi uniformato, come lo è stato per la globalizzazione e per Internet.
Il mondo ha vissuto un processo di standardizzazione che pare averlo “stranamente” reso più piccolo.

Nonostante questo nuovo dimensionamento siamo ancora differenti, per fortuna, ma con, ancora, un più feroce bisogno di certezze. Servono nuovi pilastri per le fondamenta di questa società.

Con ciò non possiamo dimenticare i drammi che stanno comunque accadendo e che, ahinoi, stanno avvenendo sotto un profilo più basso di focalizzazione dell’opinione pubblica; assumendo un’immeritevole poca considerazione: come se venissero riconosciuti come un problema di serie inferiore.

Bisogna in merito porre la dovuta attenzione: noi non possiamo permetterci che questa società si concentri e viva nell’ignoranza. Siamo obbligati a darci come priorità una più ampia ed intensa diffusione della conoscenza. Il rischio elevato sta nella incapacità di delineare nuovi scenari di interesse e di restare intensamente “vivi ed informati” su quelle faccende che comunque devono restare nell’orbita del nostro comune e quotidiano sapere.

Perché dovremmo tutti pretendere di “saperne di più” e non individualmente, a livello di sistema sociale, prendendo realisticamente atto del fatto che l’unica cosa che sappiamo è, come dice uno adagio, di non sapere abbastanza. Non possiamo restare nell’incognita e sarebbe un grave azzardo lasciare ai soli leader politici il dovere di informare e di difenderci.

Sì, anche di difenderci perché, spesso, l’informazione può uccidere per illegittima incapacità di essersi difesi. Non mi riferisco soltanto alle cosiddette fake news ma, anche, a quel diritto di sapere che sta alla base di ogni riconosciuto sistema democratico.

La conoscenza è fatta senza dubbio di informazioni e ragionamenti e concetti più strutturati, ma anche di logica con la quale si aziona il pensiero.

Nel frattempo, nonostante le poco evitabili controversie delle previsioni epidemiologiche, gli esperti sono allineati su due punti: in primo luogo, l’evoluzione della pandemia dipenderà da una serie di fattori in parte ancora sconosciuti, a partire dall’immunità acquisita da chi supera la malattia, ma sarà enormemente influenzata dai comportamenti individuali e dalle scelte dei governi.

In Europa la prova del nove è arrivata già in autunno, con la riapertura di tutte le attività e la concomitanza degli altri malanni di stagione. E si è ritornato a vivere il dramma, sospeso in estate, di nuove chiusure, di reparti di nuovo pieni di ammalati e si è ripresentato il fantasma dell’alienazione e dell’isolamento forzato.

In secondo luogo, è chiaro che Sars-CoV-2 è qui per restare o quanto meno ci proverà. Per mettere fine alla pandemia, il Coronavirus dovrebbe essere sradicato in tutto il mondo, ma è un’eventualità che la maggior parte degli scienziati considera quasi impossibile vista l’ampia diffusione del contagio. Salvo improbabili sorprese, dovremo dunque imparare a gestire i rischi del Covid-19, come del resto già facciamo con molte altre malattie.

Ecco che le nostre società deformate dovranno combattere anche per gestire la conoscenza. Società che sono gravemente deficitarie a livello di qualità delle informazioni mentre sono eccessive quanto alla quantità, per altro scadente.

Tutti dovremmo essere messi nelle condizioni quanto meno di sapere cosa sta succedendo e farci una nostra idea per trarre le conclusioni e imparare ad adattarci alla realtà o alla nuova verità. Il mondo cambia, noi dovremmo farlo in accordo con esso.

Tutti gli scienziati politici seri, non certo i giornalisti e gli opinionisti della domenica che purtroppo imperversano anche il resto della settimana, sanno che il rapporto tra informazione, o meglio il diritto ad essa, ed opinione pubblica è lo stesso a prescindere del sistema più o meno democratico in vigore in quel determinato Paese.

È giusto, quindi, che tutti sappiano e che, al di là, della pandemia c’è qualcosa che potrebbe comunque fare ulteriori danni, che se non mortali quanto meno tali da incidere seriamente e gravemente sul futuro delle prossime generazioni.

Mi riferisco all’effetto che il Covid scatenerà a livello economico e politico su quei popoli più poveri. C’è un forte rischio di innescare una nuova crisi del debito, ciò nonostante il numero dei decessi e dei contagiati non sia elevato quanto quello occidentale.

Le ripercussioni economiche del calo della domanda globale e delle politiche di lockdown sono comunque drammatiche. Va detto che gli effetti del Coronavirus non si pesano solo a livello di mobilità e mortalità, ma anche sul piano della tenuta socioeconomica.

I Paesi poveri o in via di sviluppo si trovano oggi a fronteggiare una doppia battaglia: una contro un virus che si sta ancora propagando e una contro la recessione venuta dal nord.

La Banca mondiale ha annunciato per il 2020 una contrazione della ricchezza globale del 5,2 per cento, così distribuita: -7 per cento nei Paesi sviluppati (nella zona euro il dato è -9,1) e -2,5 per cento nei paesi in via di sviluppo.

Nei Paesi a basso reddito, infatti, il tasso di crescita del PIL in questo anno sarà inferiore a 1,2 %, con una decisa flessione di oltre 6 punti percentuali rispetto alle previsioni fatte lo scorso anno. Dopo oltre venti anni il numero di persone che vive in condizioni di estrema povertà crescerà di oltre 100 milioni. Questo è l’avvertimento della Banca mondiale, abbassando la testa di fronte ad una lotta che negli ultimi tre anni aveva portato a risultati più consolanti.

Gli effetti di tale evento saranno ancor più incisivi e duraturi di quanto possiamo prevedere ma senza un intervento coordinato si rischia di procedere con azioni parziali che possono dare respiro nell’immediato ma, ovviamente, non sciolgono i dubbi e risolvono i problemi strutturali.
Fra Paesi in crisi di liquidità e Paesi che potranno divenire insolventi.

I primi sono in grado di concepire risorse future per restituire il debito ma contrastano una temporanea scarsità di liquidità e, quindi, devono essere rinforzati da maggiori aiuti e dall’estensione di una moratoria.

Per i secondi, per i quali la crisi ha effetti più longevi sulla loro economia tali che il debito non sia più sostenibile, è necessario accogliere presto misure per ristrutturare il debito prima di arrivare al default, per arginare i costi economici e sociali della crisi che ne verrebbe fuori.

Inoltre, la pandemia sta colpendo direttamente i sistemi alimentari, ricadendo sia sull’offerta che sulla domanda di cibo, con una diminuzione della capacità di produrre e ripartire, unita alla diminuzione del potere d’acquisto delle persone, sta danneggiando l’accesso a un’alimentazione sufficiente e nutriente, soprattutto in questi Paesi colpiti che hanno da sempre alti livelli di insicurezza da questo punto di vista.

Le misure di contenimento e di distanziamento sociale hanno generato una decelerazione della produzione e una riduzione dei consumi: la vita di milioni di persone, soprattutto quelle che vivono nei Paesi in crisi umanitaria, sono, e saranno, pesantemente condizionate.

Lo Stato non dedica più le sue attenzioni alla povertà con lo scopo primario e fondamentale di tenere in buone condizioni i poveri, ma con quello di sorvegliarli e di evitare che facciano danni o che creino problemi, controllandoli, osservandoli e disciplinandoli.
Zygmunt Bauman 

La povertà potrebbe terminare il lavoro della pandemia e distribuire altro dolore e altre atrocità nei confronti di quei popoli indifesi che pagano il dazio di una ingovernabilità e di una politica di sviluppo latente o completamente assente.

Ecco che diviene molto alto il rischio di misurarci con un nuovo dramma e con un’onda il cui effetto anomalo potrebbe causare gravi conseguenze sociopolitiche ed economiche oltre che, soprattutto, umanitarie. È la prossima bomba destinata a deflagrare nel mondo già indebolito dalla pandemia, già fragile per quella carenza di organizzazione e di struttura dei suoi più importanti apparati, già compromesso nelle fondamenta da una storia che le ha rigettato addosso il suo più bilioso rancore per non essere stata compresa fino in fondo.

E quindi per non aver imparato a prevedere il possibile, nonostante le fantasticherie di un mondo che pare sempre ad un passo dal futuro più irraggiungibile ma che, spesso, è costretto a fare notevoli passi indietro per rimediare un riparo da una pioggia nera e incessante che percuote le sue idee e i suoi sogni.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.