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La Poesia come strumento di conoscenza: incontro con Elio Pecora

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La Poesia come strumento di conoscenza: incontro con Elio Pecora


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Il 20 maggio all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli

Riceviamo e pubblichiamo.

Lunedì 20 maggio, ore 17:00, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio, 14, Napoli, si terrà l’incontro con Elio Pecora dal titolo ‘La Poesia come strumento di conoscenza’.

Interventi:
Esther Basile e Lucia Stefanelli Cervelli.

Modera:
Carmela Maietta.

Letture:
Anna Maria Ackermann

Musiche:
M° Nicola Rando, sax, Valerio Bruner, chitarra

Omaggio dei Poeti e delle Poetesse della “Tenda Berbera”

Editore Elio Scarciglia
Presentazione della rivista Menabò

Videoriprese:
Rosy Rubulotta

‘Poesia e filosofia’
“Niente sappiamo del dialogo che intercorre tra poeti e pensatori che abitano vicino su monti quanto mai separati”. Questa lapidaria affermazione tratta da ‘Was ist Metaphysik’ di Heidegger, sembra chiudere, in qualche modo, il dibattito sviluppatosi particolarmente in epoca romantica intorno alla questione del primato della poesia ovvero della filosofia, ed aprire la nuova prospettiva ermeneutica nella quale tale rapporto dovrà essere d’ora in poi reimpostato e compreso.

La questione della relazione tra poesia e filosofia, e del loro rispettivo primato, è più antica della sua drammatizzazione avvenuta nel periodo del romanticismo.
Basti pensare al rapporto che Platone stabilisce tra la verità dell’arte e la verità del logos, e secondo la quale l’arte, rappresentando sostanzialmente una “imitazione” della natura, che a sua volta costituisce una “imitazione” dell’unico mondo reale, quello delle Idee divine, rappresenta per ciò stesso, per il filosofo, un duplice allontanamento dalla “verità”, e, in quanto tale, deve essere superata ed inverata dal logos filosofico.

Sebbene l’arte cui si riferisce Platone è prevalentemente quella delle arti figurative, a motivo del più diretto rapporto che esse istituiscono con l’eidos, ovvero con la visione intellettuale, tuttavia il discorso platonico sulla bellezza come immagine del divino può essere agevolmente trasposta al significato della bellezza poetica intesa come espressione linguistica della verità del logos. La bellezza, dice Platone, brilla tra le idee divine, ma a noi è dato contemplarla solo nelle sue imitazioni sensibili, in nessuna delle quali splende la sua forma originaria, sebbene tutto ciò che è bello suscita in noi “le ali dell’anima”, ovvero l’amore, Eros, verso quella bellezza divina che traluce in tutto ciò che è bello, ma che può essere raggiunta solo dall’ascesa e dalla trasfigurazione dialettica del logos.

È vero che poi Platone, di fronte alla “debolezza” del logos ed alla sua incapacità a percorrere tutta la via della verità, soprattutto per le questioni più importanti dell’esistenza, quali il destino ultraterreno delle anime, fa ricorso al mito, e quindi alla poesia, fino a sostenere nel Fedone che “è bello correre il rischio del mito”, e che è bene “protrarre il suo incantesimo” quando vengano meno gli strumenti della dialettica nella ricerca della verità. Anche se poi mostra la consapevolezza che anche la verità che traluce nel mito è una verità nell’ombra, nel senso che qualora la verità fosse trasparente nelle parole dell’uomo, come lo è la bellezza nelle immagini di tutte le forme belle, essa susciterebbe “terribili amori”, e per questo l’uomo deve accontentarsi di una saggezza-verità che solo traspare nelle parole della poesia, e in modo inferiore alla bellezza che traluce nelle immagini dell’arte figurativa.

Scrive Platone nel ‘Fedro’: “Per quanto riguarda la bellezza essa splendeva fra le realtà di lassù come Essere”.

E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto essa splende in modo luminosissimo. Infatti, per noi la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo.

Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, essa susciterebbe terribili amori se offrisse una qualche immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore. Ora, invece, solo la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile.

Alla Bellezza – sia manifesta nelle parole poetiche che nelle arti figurative – viene assegnato il compito di elevare l’uomo verso il divino.
Aristotele, opponendosi alla concezione platonica della “mimesis” poetica, che finisce per considerare la poesia una “imitazione di una imitazione”, una “copia di una copia” della verità, la quale verrebbe attinta in modo più compiuto solo dalla dialettica filosofica, interpreta invece l’attività poetica non come una riproduzione ma come una “creazione” originale della realtà, la quale si distingue sia dal racconto storico degli eventi,sia dal logos universale della filosofia.

Scrive Aristotele: “Ufficio del poeta non è il descrivere cose realmente accadute, bensì quali possono in date condizioni accadere; cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza e della realtà”.

La poesia risulterà “qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia” perché “tende a rappresentare l’universale, mentre la storia il particolare”; e la conseguenza è,
per Aristotele – come per gran parte dell’estetica contemporanea,- che l’universale poetico non ha come contenuto né la verità storica, che riguarda solo fatti realmente accaduti, né la verità filosofica, fondata sull’essere, ma un universale poetico fondato sulla “verosimiglianza”, che trasfigura in modo creativo tutte le cose “sotto l’aspetto della possibilità e della verosimiglianza”.

La poesia, allora, è una creazione spirituale che non imita passivamente la realtà ma ricrea e trasfigura i fatti secondo la legge del verosimile, che è “legge di unità, di coerenza, di coesione, di concentrazione, onde tutti gli elementi che compongono il mito (…) aderiscono l’uno all’altro, sono l’uno all’altro necessari, si compenetrano l’un l’altro per interna e fluida reciprocità, e intendono concordemente verso un unico fine che si concreta in un atteggiamento di vita, in una forza attiva e presente, come un vivo e perfetto organismo”.

Il mistero della poesia consiste allora in un “universale fantastico” che è in qualche modo più filosofico della storia, ma che tuttavia non appartiene all’universale logico della filosofia, e costituisce un’autonoma forma della creazione spirituale dell’uomo.
Esther Basile

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