Realizzo troppo tardi che l’accappatoio che mi sto infilando non è il mio. Ed io sono appena uscita nuda come un verme dalla doccia.
Mannaggia.
Questo mi apre avanti due possibilità: continuare ad asciugarmi con questa enorme armatura di spugna o procedere alla chetichella verso la zona degli appendini e recuperare il mio accappatoio, togliendomi velocemente questo di dosso, ormai irrimediabilmente bagnato.
Il fatto è che il mio e questo non hanno proprio nulla in comune, ma come accidenti ho fatto a sbagliarmi. La verità è che sono cieca come una talpa.
Va bene. Avventuriamoci nella zona mista, sperando che il gigantesco legittimo proprietario non sia nei paraggi.
Ecco il mio.
Allora… la prima manica e la seconda e poi… velocemente… velocemente una flippalippa. Io e l’avverbio velocemente non ci frequentiamo più da tanti anni.
Non perderti d’animo Tita!!! Insomma, hai ballato con le zeppe!
Ah ecco ecco sono riuscita. Rimetto anche quello bagnato al suo posto. Menomale che nessuno mi ha vista chiappe all’aria mentre facevo lo scambio. Mi avrebbe dato un certo fastidio. Per il rotto della cuffia, appunto.
Questa giornata è cominciata storta. Intanto è arrivata una vecchia, decrepita più di me, in piscina e prima che mi riuscisse di rallegrarmi di avere una compagna di artrite si è messa a fare le vasche così velocemente che ho pensato fosse solo brutta più che vecchia.
Ma quella ficcanaso di Carmela ha subito sentenziato che la conosce bene e che è nata prima di me.
Amo stare in acqua. Sento tutti i pesi del corpo alleggerirsi, certo non è come andare al mare, niente sciabordio delle onde e mamme che scrutano l’orizzonte in sentinella dei propri bambini.
Sono solo due anni che ho preso ad andare in piscina e, nonostante il primato assoluto del mare, devo ammettere che portare le orecchie appena sotto la superficie dell’acqua ti regala subito la porta spaziotemporale giusta e gli acciacchi si dimezzano.
Faccio sempre una telefonata preventiva alle ragazze dell’accoglienza clienti, per accertarmi che non ci siano i corsi di acqua-qualcosa che mi impediscono di godere del tempo a bagno.
Durante l’ora dei corsi, osservo cyborg-ragazze che urlano di continuo l’incitamento a raggiungere non si capisce bene quale obiettivo imperdibile a suon di daaaaiii, forzaaaaaa, ancora uno due tre quattro… ancoraaaa. Praticamente un incubo.
Non ho mai amato eccessivamente la confusione, mercatini a parte. Per diversi anni dopo la morte di mia madre, quando le mie sorelle e mio fratello Ciccio, sono andati a vivere con mariti, nipoti o figli, siamo rimasti a vivere insieme io e mio fratello Umberto. È stato un pasticciere straordinario.
Ebbene ricordo quelli come anni di grande solitudine. Perché, per aspettarlo e non lasciarlo solo, magari non uscivo con le amiche, o non andavo a farmi un viaggio.
Lui, tornato a casa dal lavoro, si chiudeva a ore nella sua stanza, piantandomi con un palmo di naso fuori dalla sua porta e dal suo mondo.
Mi sono sentita così sola che, come via di fuga, ho deciso di accettare un lavoro a Bologna e per tre anni ho vissuto tra i portici e piazza Grande. Lì ho fatto subito amicizia anche con le pietre, con le quali si parla benissimo.
Questo perché quando atterro in un nuovo habitat comincio ad acquisire immediatamente delle piccole abitudini: il caffè sempre al solito bar e il quotidiano in carta e inchiostro tutti i giorni alla stessa edicola.
Insomma, quelle piccole abitudini che ti fanno fare tuoi i posti e le persone. Da quando vivo da sola non soffro più di solitudine, sono diventata libera. La libertà come conquista è arrivata tardi nel tempo.
Poco più che ragazza ho dovuto lavorare e occuparmi di mia madre e del suo sostegno, quindi non ho avuto chissà quali speranze o prospettive. Ho cominciato a lavorare presto insieme ad Umberto, stavo molto fuori casa. Devo dire che già quella mi sembrava una grande libertà.
Non dover sottostare all’atmosfera ed alla vita della famiglia, dal momento che erano Teresa e mamma a sobbarcarsi la cura della casa, mentre Maria, più pazza e insofferente, aveva trovato come foglio di via l’essere libertina oltre che libera.
Per me gli altri erano troppo importanti, non riuscivo a fregarmene. Soltanto la solitudine indifferente a cui mi aveva sottoposto mio fratello, mi aveva così ferito da consentirmi di andare per la prima volta dove volevo.
Raggiungo la reception della piscina e scorgo diversi sguardi e sorrisetti nella mia direzione. Realizzo allora che ci sono delle telecamere in ingresso e uscita spogliatoio e mi avranno vista stile imperatore romano con mantello a strascico accappatoio entrare e uscirne con un abito corto spugna stile impero… almeno grazie alla benedetta legge sulla privacy non mi hanno visto senza copertura delle pubenda.
– Zia Tita, ahaahha, ma come ha fatto a sbagliarsi?
L’accappatoio di Albertone è grande almeno dieci taglie di più.
È vero che furbescamente ho tenuto la cuffia, anche per salvare la messa in piega che rende le mie giornate più sopportabili. Ma mi hanno riconosciuta.
Sono un po’ imbarazzata, ma non faccio in tempo ad accampare scuse fantasiose che arriva la titolare della piscina, Martina.
– Zia Tita ho un regalo per te.
Lo stupore lascia il posto al disagio. Apro incuriosita la busta di plastica che contiene il dono e scoppiamo tutti a ridere. Un accappatoio fluorescente arancione con delle improbabili strisce rosse sulle maniche e sul collo.
Lo tengo stretto e penso a quanto sono fortunata. Potevo diventare una vecchia scorbutica e arrabbiata con gli acciacchi, amante del grigio e delle perle.
Invece sono una vecchia impicciona e arrabbiata con gli acciacchi, amante del grigio e delle perle, ma ho tanti nipoti che potranno mettere a Carnevale questo accappatoio, per evitare che anche per sbaglio uno di questi giorni finisca nella mia borsa del mare.

Autore Barbara Napolitano
Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.