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Kazimierz

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Kazimierz


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Polonia, agosto 2016
C’è stato un tempo in cui Kazimierz era una cittadina autonoma. C’è stato un tempo in cui era un’isola. C’è stato un tempo in cui la Vistola era il suo confine con Cracovia. C’è stato un tempo in cui gli ebrei convissero con i cristiani. Un tempo che la vide unirsi a Cracovia.

C’è stato il tempo dello sterminio. C’è stato il 1941. Ancora, il tempo di Spielberg e del suo Schindler. Poi una nuvola si è posata tra le sue strade, i suoi palazzi, fabbriche e piazze. Una nuvola che ha conservato Kazimierz e la sua memoria.

Il viaggio mi piace prepararlo a grandi linee. Kazimierz arrivò così a me. Un luogo trovato in un altro luogo e in un altro tempo.

Il tram numero 5 ci lascia sul confine. Ci incamminiamo lungo la  Stradomska e già appare un’altra Cracovia. L’incrocio con la Miodowa. Appena svoltato l’angolo attraversiamo un giardino alberato. Sbuchiamo accanto al Grande Mikevh.

Kazimierz inizia a mostrarsi. Dove sono tutti? Dov’è quella massa di gente di ogni nazione che occupa costantemente le vie di Cracovia? Dove sono i tram, le carrozze turistiche, le guide, i gruppi di giapponesi? Dov’è Cracovia? Il sole è alto.
Scopriamo la Kazimierz cristiana e quella ebraica. Chiese e sinagoghe gareggiano tra le sue strade, i suoi locali e i suoi giovani. Forse qui c’è davvero la vita del cambiamento.
Quel fermento di idee che avvertii anche a Durazzo.

Mi sento come una comparsa. Una comparsa nella vita di chi davvero vive le strade, di chi vive nelle case sparse in questi luoghi sconosciuti. Noi andiamo via con qualche ricordo.
Le persone invece restano con la propria storia in cui siamo stati solo delle ombre.

Raccontiamo, scriviamo, imprimiamo sensazioni e ricordi. Immagini e parole che ci colpiscono a volte in profondità, altre, più spesso, scuotono solo la nostra superficie, per poi svanire insieme alle increspature. Sono queste ultime, però, a dare forma al tempo e, a Kazimierz, ha assunto una forma sua propria, particolare, racchiusa tra la Vistola e la collina di Wawel. Un’appendice di una realtà raccontata dalle strade e dalla sua gente.

Un gruppo di ebrei ortodossi mi chiede informazioni sugli orari della Remuh, scambiandomi per ebreo e forse anche polacco. Camminiamo verso la Vecchia Sinagoga. Un piccolo gruppo di turisti è lì tra le scale e il piazzale antistante. Alle sue spalle la facciata di un palazzo hai un murale disegnato. Lì per lì mi incuriosisce, scatto una foto, lo commento con Ele, ma non mi soffermo più di tanto. Giriamo sulla Jozefa.

C’è tranquillità e un pacato silenzio. Bar, negozietti e ristoranti si susseguono.
Altri murales. Stavolta mi fermo e osservo. Guardo più avanti e ne scorgo altri.
Inizia a farsi più chiara la loro presenza. Al numero 17 su cinque arcate l’artista Piotr Janowczyk ha raffigurato altrettanti personaggi legati a Kazimierz e alla Ulica Jozefa. Separato dagli altri dall’entrata di un cortile con il suo ristorante, c’è l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo a cui è dedicata la strada dal 1866. Poi arriva il quartetto: Elena Rubinstein, che iniziò la propria attività nel negozio dei genitori proprio qui sulla Jozefa; Karol Klaus, restauratore, architetto e artista di Kazimierz; l’ebrea Esterka Malach, amante di Re Casimiro il Grande; proprio quest’ultimo è rappresentato nell’ultima arcata, re di Polonia che nel 1335 fondò la città di Kazimierz che dal suo nome prende il proprio.
I loro occhi indossano un nastro color oro a simboleggiare le ricchezze e i successi raggiunti.

L’idea del Kazimierz Historical Murals è nata nel 2014 ed è stata approvata e finanziata l’anno seguente. Un progetto particolare per rendere attuale la storia di quest’appendice di Cracovia.

Una coppia di italiani. Credo non si siano informati bene. Non era qui il ghetto ebraico. Parlano del film di Spielberg, “Schindler ‘s list”, cercando quel ghetto. Spero si rendano conto che qui fu solo ambientata una storia. Per vedere la Cracovia del ghetto devono attraversare il ponte e raggiungere Podgórze. Il ghetto nazista del ’41 sta lì, oltre il ponte. Ma i ponti ci fanno paura. Raggiungere l’altro ci fa paura. Entrare in un’altra storia vuol dire percorrere un tratto nel vuoto per poi muovere i passi nell’incerto. Lascio i due turisti a cercare il ghetto inesistente.

Il giardino della chiesa del Corpus Christi ci dà riposo. Eleonora e Alessandro finalmente si sfogano. Dallo zaino prendiamo qualcosa da mangiare, quando notiamo troppe persone in abiti eleganti. Ecco che poi arriva un’auto da cui esce una sposa.
Ci guarda. Stavamo bivaccando al suo matrimonio. La cerimonia ancora doveva iniziare. Poso tutto e corro in chiesa. Prima che entri la sposa voglio vederla. Stupenda. Il gotico e il barocco fusi in tutta la loro potenza.

Chiamo Ele e le dico di fare presto ad entrare. La sposa sta per percorrere il cammino verso l’altare. Questo è lontano, come a dichiarare la propria indipendenza da questa storia.

Usciamo in silenzio dalla porta laterale. Re Casimiro III fondò questa chiesa nel 1335. Passarono gli anni del gotico che la portarono agli albori del rinascimento che la vide terminata nella prima metà del XV secolo.

L’uscita dal cortile ci porta in una piazza confusa. Plac Wolnica. In fondo, a delimitarne il confine con la Krakowska, l’antico edificio del governo municipale di Kazimierz con la torre quattrocentesca. Oggi ospita il museo etnografico. Non ci sono molte persone.
La confusione è nella piazza stessa. La fontana. La mostra “Free Express Exhibition Catalogues – Roads to  1989 East Central Europe”. Una piazza con tanti scorci e poche strade.

Inizia il ritorno. Ci incamminiamo lungo la Meiselsa raggiungendo Plac Nowy con i suoi innumerevoli banchi di cibo. Un cerchio di tendoni verdi con i fuochi e bancarelle di oggetti di ogni tipo. La piazza e quella vita pacata ci prendono. Mangiamo anche noi. Ovviamente zapienkaki. Per quanto semplice questa “mezza baguette” ha una sua storia risalente al governo comunista degli anni ’70 e alla sua apertura alle piccole imprese a conduzione familiare.

Lì all’angolo la Bne Emuna, la casa di preghiera costruita nel 1886. Dei giovani ebrei escono e si fermano a parlare, a ridere sulle scale d’ingresso. Ci sono edifici, credo ottocenteschi, con forme e colori che incutono timore. Le finestre chiuse e scure sembrano giudicarti, invitandoti a lasciare presto quei luoghi. Stanno lì a proteggere un segreto. Forse. I guardiani di questa vita sospesa sull’isola dove San Stanislao subì il martirio.
La Skalka, la Piccola Roccia su cui fu decapitato nel 1079. La chiesa “sulla roccia” era dedicata anticamente al solo Michele Arcangelo. E fu qui che, mentre celebrava messa, Stanislao vescovo di Cracovia fu ucciso per ordine del re Boleslao II. Decapitato e fatto a pezzi, il suo corpo fu gettato nello stagno vicino.  Miracolosamente i pezzi si ricomposero. Su quello stagno fu costruita l’attuale vasca monumentale. La chiesa conserva e preserva la roccia della decapitazione sulla sponda della Vistola. L’acqua e il sangue.

È difficile parlare di questa città-distretto. È complesso. C’è un intreccio continuo tra la storia e il sentire che emanano le strade e gli edifici che la compongono. Un intreccio che porta con sé le anime dei suoi abitanti.

Non abbiamo sentito la stanchezza di tutto il cammino finché non è apparso ai nostri occhi il castello sulla collina. Kazimierz si sta allontando. Ha lasciato in me quel senso di pienezza incompiuta che mi tira costantemente verso di sé.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!