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Iside e il suo carro, Napoli e il culto egizio

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Iside


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Una delle divinità più famose di tutte le terre che circondano il Mar Mediterraneo fu sicuramente Iside. Il suo culto nasce nell’antico Egitto, in particolare sulle sponde del Nilo.

Considerata la prima figlia di Nut, la Dea del cielo, e di Geb, il Dio della terra, che avevano generato anche Nefti, Horus il vecchio, Seth e Osiride. Nella notte dei tempi spesso erano celebrati matrimoni tra consanguinei, la primogenita e l’ultimo nato convolarono a giuste nozze, regnando felici in un rapporto armonico che riusciva a coinvolgere tutto il creato.

Osiride, a causa dell’incantesimo effettuato da Ra su sua madre, impersonava la Luna, mentre Iside la natura, anche se più tardi fu lei ad assommare in sé le prerogative del satellite alla Madre Terra.

Il loro era un amore totale, fatto di passione, ma soprattutto di benevolenza verso la propria gente, la terra in cui regnavano. I loro poteri riuscivano a far in modo che il suolo egizio fosse sempre fertile e ricco di frutti, tanto che il cibo non scarseggiasse mai.

Questo idillio fu sconvolto dalla gelosia di Seth, poiché immaginava che sua moglie Nefti fosse innamorata di Osiride, per cui decise di trovare un modo per soppiantare il fratello. Fece costruire un contenitore tutto ricoperto d’oro e gemme della misura esatta del suo antagonista e, durante un banchetto, affermò che lo avrebbe regalato a colui che vi entrava perfettamente. Tra i tanti anche Osiride provò, ma i conniventi di Seth prontamente sigillarono il sarcofago gettandolo nel Nilo e procurandone, così, la morte.

Iside, sconvolta insieme ad Anubi, dio delle necropoli e dei defunti, si mise alla ricerca e dopo lungo tempo ritrovò il sarcofago in Fenicia grazie alla Regina Astarte, riportandolo in Egitto per il rito della sepoltura, ma Seth intercettato il progetto, con la sua spada smembrò il corpo di Osiride in 14 pezzi disperdendoli in varie città, tra cui Napoli.

Iside, anche se disperata, si trasformò in uccello e riuscì a raccogliere ciò che era sparso, ricomponendo il corpo tranne un pezzo, il fallo, che ricostruì con oro e cera.

Pronunciando formule magiche il suo amato sposo riprese vita giusto il tempo del concepimento del figlio Horus, per poi iniziare a governare il Regno dei morti. Il Dio dalla testa di falco, cresciuto sano e vigoroso, si vendicò della morte del padre.

Il culto di Iside per la sua grandezza, associata ormai alla magia e all’oltretomba, oltre che alla conoscenza e alla sapienza, si diffuse varcando i confini dell’Egitto, prima nel mondo ellenico e di conseguenza in quello romano, assumendo l’importante ruolo della Signora del mare e quindi protettrice dei naviganti e delle loro navi.

Neapolis, adagiata nel suo splendido golfo, si rivelò un habitat naturale per la comunità alessandrina che si insediò nel I a. C., ancora oggi nel suo centro storico ritroviamo via Nilo, Vicus Alexandrinus, l’imponente statua del Dio Nilo e da vari ritrovamenti appartenenti ad un tempio dedicato alla Dea sulle cui rovine il Principe di San Severo edificò la sua cappella.

Il culto egizio fu assorbito dal popolo partenopeo che ha sempre avuto la capacità di non sovrapporre o cancellare, ma di fondere, mettendo in evidenza gli aspetti più profondi e magici. Tra questi la celebrazione più importante in suo onore ricorreva in concomitanza del primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, il Navigium Isidis, la barca di Iside.

Un vero e proprio rito propiziatorio formulato sia per onorare la resurrezione di Osiride sia per la riapertura delle attraversate in mare interrotte durante l’inverno, un’imbarcazione in legno adornata, che dalla terraferma giungeva in mare lasciandola alla deriva.

Una processione, come racconta Apuleio ne ‘Le metamorfosi’, che vedeva sfilare prima persone mascherate in vari modi, uomini travestiti da donne, centurioni, cacciatori, quindi le ancelle di Iside con pepli bianchi e ghirlande di fiori in testa che spargevano petali sulla strada, le stoliste, seguite dai dadofori, uomini con lanterne accese e suonatori di flauto accompagnati dagli imnodi che intonavano cori melodiosi.

Infine, era la volta degli iniziati al sacro culto, indossavano tuniche di lino bianco, le donne avevano il capo coperto da impalpabili veli trasparenti, mentre gli uomini erano totalmente rasati, accompagnati da sei sacerdoti ognuno dei quali portava un’offerta.

Non mancavano coloro che impersonificavano gli dei dalla testa di animale come Anubi e Hathor. Il corteo era chiuso da un’urna d’oro contenente l’acqua del Nilo insieme alla statua di Iside. Giunta in riva al mare la processione si fermava, qui i sacerdoti deponevano sull’altare i vari oggetti sacri, mentre la barca veniva scoperta, mostrando i favolosi decori delle fiancate e la poppa caratterizzata da un collo di cigno ricoperto di lamine d’oro.

Il sommo sacerdote pronunciava le formule magiche purificando lo spazio con una fiaccola accesa, lo zolfo e un uovo. Quindi, veniva issata la vela, che recava iscrizioni propiziatorie in oro, intanto i fedeli riempivano la nave di spezie e offerte varie e versavano nello specchio d’acqua una crema di latte, affinché la dea fosse soddisfatta.

Finalmente veniva calata in mare lasciando che il vento gonfiando la vela la portasse alla deriva oltre l’orizzonte. A rito concluso si ritornava al Tempio affinché il Grammateus, dopo aver pronunciato l’ultimo incantesimo, decretasse l’inizio della stagione di navigazione. Tutti i partecipanti, prima di rientrare, baciavano i piedi alla statua.

Tra il 391 e il 392 furono fortemente proibiti i culti pagani, affinché il popolo potesse accettare tale imposizione furono trasformati in ricorrenze cristiane, per cui la ricomposizione di Osiride si tramutò nei riti pasquali, mentre il rito propiziatorio con le sfilate fu anticipato e divenne il carnevale ovvero carrus navalis per la similitudine di sfilare intorno ad un carro mascherati, anche se la derivazione medioevale cristiana si rifà a carnem levare, ovvero levare la carne in osservanza del periodo di Quaresima.

Attraverso i vicoli del centro di Napoli ancora oggi si respira la sua presenza, basta ricordare il modo in cui, fino a qualche secolo fa, venivano seppelliti i morti, lasciati mummificare su apposite sedie, scolatoi, in spazi sotto le chiese, luoghi di culto come il cimitero delle fontanelle.

Altri riti lunari di reminiscenze alessandrine ci tramandano la sua accezione più significativa come il governo delle maree. Senza dimenticare il grande numero di templi a lei dedicati in tutta la Campania, tra quelli quasi distrutti e ricoperti da chiese come a Marechiaro, la chiesa di Santa Maria del Faro, o il tempio di Cuma, ritrovato nel 1992 accanto alla spiaggia nei pressi del faro romano, questa posizione particolare avvalora il suo epiteto di Stella Maris.

I quattro templi a Benevento e, infine, la magnificenza di quello a Pompei semi distrutto dal terremoto del 62, ricostruito, fu sepolto totalmente dalla cenere dell’eruzione del 79, restituito agli occhi del mondo in tutto il suo splendore nel 1776 grazie agli scavi effettuati.

Una processione particolare effettuata ancora oggi proprio in questo periodo a Pollica, in provincia di Salerno, vede donne scalze la cui testa è adorna con una piccola barca piena di fiori e candele accese.

Il fascino della Dea della Luna continua ad ammaliare il popolo partenopeo che, nelle notti di cielo sereno, l’ammira e la canta, nella speranza segreta di continuare a carpire la sua benevolenza, mentre, di nascosto, strofina un ferro di cavallo, simbolo ricorrente della sua immagine arcaica, che oltre al ventre materno, rappresenta il nostro satellite nella fase crescente.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.