Home Rubriche Società 5.0 Indossando una maschera in un carnevale perenne

Indossando una maschera in un carnevale perenne

1057
Indossando una maschera


Download PDF

Nel corso della storia dell’Umanità, in tutte le Culture, si osservano le maschere rappresentare un significativo Fenomeno Culturale.
Le identità online sono, nel bene o nel male, l’ultima frontiera delle Mascherate.

Da qualche giorno mi trovo ad interagire su un social media con un gruppo di amici di gioventù. Ci siamo conosciuti 40 anni fa. Insieme abbiamo vissuto momenti tristi e felici e quel benessere psico-fisico che si condivide tra giovani amici assumendo le più disparate condotte. Talvolta anche sorpassando i limiti di un “comportamento per bene”; questo accadeva, in particolare, in occasione delle nostre partecipazioni mascherate al Carnevale di Venezia. Se qualcuno dall’estero di questa chat privata ci guardasse non crederebbe mai che siamo tutti professionisti, artisti, manager piuttosto affermati.

Recenti studi stanno dimostrando che modelli di comportamento nelle relazioni sociali virtuali appaiono identici a quelli osservati nella realtà.

Numerose ricerche dimostrano che in condizioni in cui l’identificabilità dell’individuo dipende da un immediato riconoscimento facciale, i suoi atteggiamenti cambiano. Chi si traveste sembra sentirsi significativamente meno attento nel dover camuffare il suo “Io” pubblico. L’uso di una maschera può ridurre significativamente le sue eventuali preoccupazioni, dovute al mantenimento di un Sé pubblico socialmente corretto.

In una ricerca del 1982, gli psicologi Joan Kellerman e James Laird suggeriscono:

Ridefiniamo noi stessi ogni volta che ci occupiamo dei nostri attributi e ciò che solo apparentemente può sembrare un innocuo cambiamento del nostro aspetto può cambiare il modo con cui percepiamo noi stessi.

Il sociologo Erwin Goffman con il suo famoso trattato ‘The Presentation of Self in Everyday Life’ introduce la Teoria delle rappresentazioni del sé (auto-rappresentazione) nelle relazioni umane, suggerendo:

Le persone hanno desiderio di controllare le impressioni che le altre persone si formano su di loro.

Secondo Goffman ed altri, spesso cerchiamo di gestire, a volte consciamente altre inconsciamente, le impressioni che offriamo di noi, tentando di influenzare negli altri nella percezione della nostra immagine. Se associamo questa teoria ai risultati di Kellerman & Laird, si spiegano, almeno in parte, i motivi per i quali molte persone si “mascherano virtualmente usando un compute”, assumendo comportamenti che in un contesto sociale reale difficilmente terrebbero.

Ed, infatti, con l’avvento di Internet, sono molti gli studi avviati nel campo della ‘Comunicazione mediata dal computer’ per cercare di spiegare alcuni dei fenomeni che quotidianamente tutti possiamo osservare navigando sulla rete, in particolare sui social media.

Tuttavia, dobbiamo anche tenere in considerazione che ogni Cultura umana ha usato le maschere per disinibizioni rituali, per combattere la timidezza o per, semplicemente, intrattenersi giocando.

Alcuni passaggi che ho tratto e tradotto da un interessante articolo pubblicato da Sandra Newman su Aeon, mi aiuta a spiegare meglio il fenomeno.

(…) È un fatto riconosciuto della vita moderna che Internet a volte esalta il peggio delle persone. Cittadini altrimenti rispettosi della legge, piratano film e musica. Eminenti Autori creano profili alias-virtuali per lodare anonimamente il proprio lavoro e per denigrare quello dei rivali.

Gli adolescenti usano Internet per fare del bullismo, gli adulti maltrattano sconosciuti con zelo ossessivo, il porno prospera sul nuovo media assumendo forme sempre più bizzarre, spesso inquietanti. I commentatori non riescono a spiegare in modo soddisfacente questa ondata di tendenze antisociali che proliferano sulla rete.

A volte sembra accada ad opera di individui davvero sociopatici, ma chi opera in maniera trasgressiva è incluso tra quelle persone che assumono comportamenti impeccabili nelle loro vite offline. L’anonimato della vita online sembra essere una spiegazione, ma questi comportamenti persistono anche quando le identità degli utenti vengono facilmente scoperte e quando i loro nomi reali appaiono firmando dichiarazioni offensive.

Sembra quasi che le tecnologie operino un contagio per la diffusione di comportamenti asociali, o forse una prova evidente che i computer ci alienano dalla nostra naturale umanità. Ma potremmo avere maggiori possibilità di comprendere il teppismo su Internet se guardassimo a un’altra forma di occultamento che prende forma nel mascheramento

Chi indossa una maschera sperimenta esperienze spirituali, e ne condivide il suo potere.

Dalla Cultura australiana a quella artica, dal Mesolitico africano fino agli Stati Uniti del 21° secolo, gli uomini hanno da sempre fatto uso delle maschere. Queste sono indossate per scopi e con modi che solo apparentemente sembrano diversi tra loro, ma che invece hanno una comunanza di fondo.
Le loro prime apparizioni sono avvenute nei rituali religiosi; dove i devoti, indossando una maschera, si lasciano impossessare da un Dio o lo Spirito di un Antenato che parla ed agisce attraverso chi la indossa.

(…) Un indigeno ‘Igbo’ che indossa una maschera ci racconta: “Se io porto una maschera, quello che vedo io gli altri non lo vedono… Se mi porto un gallone di ‘vino di palma’ alla bocca lo bevo tutto, un’altra persona non potrebbe farlo… Percepisco le persone in modo diverso, perché quando le guardo, i miei occhi saranno gli occhi dello spirito che mi impossessa, non gli occhi della gente comune”.

(…) In alcune Culture si pensa che gli spiriti che popolano le maschere possano essere capricciose creature selvagge; nel corso di alcuni rituali si assiste a fenomeni in cui i ‘mascherati’ devono essere condotti in catene per impedir loro di aggredire gli spettatori.

Esistono alcune ‘Maschere Deificate’, come ad esempio l’Egungun del popolo Yoruba, che nella loro superstizione sono ritenute in grado di ‘soffiare il respiro della benedizione’ se la maschera è benevolente, così come in grado di uccidere le persone non mascherate con un solo tocco.

Ma le Maschere non hanno solo una funzione mistica.

“Portando una maschera un vero attore si sente davvero come fosse posseduto da uno spirito.
Sciocchezze? Forse, ma questa è l’esperienza che si vive, ed è sempre stato così”.

Queste sono le parole di Keith Johnstone in ‘Impro, Improvvisazione e Teatro’ già direttore del London Royal Court Theatre. Egli racconta che ha ampiamente usato le maschere nel corso del suo lavoro di attore.

Ed ancora: “Le maschere hanno una personalità che persiste, a prescindere di chi l’indossa. Ad una maschera con un naso adunco piace raccogliere bastoni e colpire le persone, indipendentemente da chi la indossa; oppure piace appollaiarsi sul bordo delle sedie e cadere. Una maschera deve crescere, proprio come una persona: una nuova maschera è come un bambino che non sa nulla del mondo… Molto spesso una maschera dovrà imparare a sedersi, oppure ad inchinarsi, o reimparare il modo di tenere le cose, non sanno come prendere un coperchio di una pentola.

Ci sono studenti che prima di indossare la loro maschera regressiva mi chiedono di uscire, quando chiedo perché, mi rispondono: è stupido, ma ho paura che potrei urinarmi addosso, quindi preferisco andare in bagno.
Ho notato come sia anche comune per le persone che indossano le maschere lasciarsi andare nel minacciare le persone o impegnarsi in atti di vandalismo (…) una volta un gruppo di insegnanti svedesi molto posati, dopo che si mascherarono si misero a strappare i fiori nel giardino”.

Dovunque troviamo Maschere coinvolte, incontriamo anche la trasgressione.

Nella Venezia medievale le maschere erano comuni accessori di moda.
Lo studio delle Leggi in vigore al quel tempo testimoniano che esisteva una tendenza all’anarchismo attribuita a chi indossava una maschera. La pratica di indossare le maschere veniva dunque regolamentata dalla Legge, ad esempio non potevano essere indossate dopo il tramonto.

A chi indossava una maschera era vietato portare armi o entrare nelle chiese, agli uomini era proibito indossare maschere in un convento; in una legge del 1268 si vietava la pratica comune di mascherarsi per lanciare uova piene di acqua di rose alle donne.

Le maschere sono oggetti di scena disinibitori. Non appena le persone mettono su una maschera, capita spesso che inizino a violare le norme sociali.

A cavallo tra il XVI e il XVII secolo, tra le donne di tutta Europa si diffuse la moda di indossare una maschera. Queste erano tipicamente confezionate in seta e velluto e il loro uso si rese popolare quale mezzo per proteggere la carnagione dal sole e per ‘difendere il pudore’ delle donne dallo sguardo indiscreto di uomini impertinenti. Ben presto, però, le donne si resero conto che le maschere erano utili soprattutto per proteggere le loro identità.
E fu così che nei fasti del Barocco le maschere cominciarono ad essere indossate per motivi meno onorevoli.

Si andava a teatro mascherate per poter assistere a rappresentazioni malviste da una aristocratica (ma ipocrita) opinione pubblica; o accadeva che indossare una maschera consentisse ad una nobile signora di flirtare scandalosamente senza rischiare di perdere la sua onorevole reputazione. La maschera si rivelava un’indispensabile accessorio femminile quando si doveva uscire furtivamente per un appuntamento amoroso.

“In psicologia sociale, una revisione della ricca letteratura scientifica mostra che l’uso di una maschera ipotizza quattro principali effetti psicologici: disinibizione, de-individuazione e trasformazione, facilitazione dell’espressione degli aspetti del Sé e diversi cambiamenti psicosomatici”.

Alla Western Illinois University, nel 1976, dei ricercatori ingaggiarono alcuni studenti per una ricerca che consisteva nel camminare all’interno del campus portando uno striscione con su scritto: “La masturbazione è divertente”. Gli studenti ai quali fu chiesto di indossare una maschera da portiere di hockey si resero disponibili a farlo per una media di 30 dollari circa, mentre veniva chiesto il doppio dagli studenti ai quali fu chiesto di farlo senza maschera.

In uno studio del 1979, alla Purdue University, si lasciarono soli dei bambini vestiti con costumi di Halloween davanti delle ciotole di caramelle. L’indagine rivelò che molti bimbi con costumi che includevano anche una maschera per camuffare il viso, sebbene si raccomandasse loro di prenderne una sola caramella per volta, erano molto più propensi ad afferrare una manciata di caramelle anche quando il bambino sapeva che il ricercatore era a conoscenza della sua identità.

Se, dunque, i recenti studi che hanno come oggetto i comportamenti sociali virtuali, esperiti tramite i social media, le chat room, stanno dimostrando che i modelli di comportamento nelle relazioni sociali online appaiono identici a quelli osservati nella realtà, dobbiamo proprio assumere che tutti questi comportamenti siano dovuti a tendenze anti-sociali, o peggio criminali?

Le voci che si sollevano per criminalizzare i social media iniziano ad aumentare di pari passo all’incremento del loro uso e al conseguente ed ovvio incremento di episodi di teppismo online.

Ma non è naturale che sia così, che questi episodi aumentino? Stupidi individui, persone asociali, veri e propri criminali ovviamente coesistono con persone equilibrate e per bene nella vita reale, così come in quella virtuale.

Tuttavia, potrebbero essere molti i metodi con cui le comunità online possono autoregolarsi ed essere efficienti nel contrastare ed eliminare comportamenti inaccettabili. Dobbiamo trovare un modo per distinguere tra questi tipi di comportamento e quelli che richiedono l’intervento dell’autorità o della polizia.

In questa nuova società, che si caratterizzerà sempre di più per i suoi aspetti offline mischiati senza soluzione di continuità con quelli online, dobbiamo imparare a distinguere i comportamenti: certamente per salvaguardare la nostra sicurezza e privacy, ma anche per alimentare il nostro benessere psico-fisico che può essere coltivato anche attraverso l’uso dei social media per l’intrattenimento comune.

I social media talvolta sembrano rivelarsi un contesto simile ad una situazione di perenne Carnevale. L’avvento e la diffusione di massa delle nuove tecnologie per la realtà aumentata e virtuale, come ad esempio la tecnologia Oculus, per la cui acquisizione Facebook ha investito 3 miliardi di dollari, e lo sviluppo del 5G, la generazione di social media MUVE, Multi-User Virtual Environment, e di OVSW, Online Virtual Social World, successiva a ‘Second life’, come ad esempio la piattaforma ‘Sansar’, daranno la possibilità di esperire una commistione tra la vita reale e quella virtuale, non solo nell’intrattenimento, ma anche nel lavoro, nella didattica e negli affari.

La Terza Vita è vicina.

Sansar party

Print Friendly, PDF & Email

Autore Vittorio Alberto Dublino

Vittorio Alberto Dublino, giornalista pubblicista, educatore socio-pedagogico lavora nel Marketing e nel Cinema come produttore effetti visivi digitali. Con il programma Umanesimo & Tecnologia inizia a fare ricerca sui fenomeni connessi alla Cultura digitale applicata all’Entertainment e sugli effetti del Digital Divide Culturale negli Immigrati Digitali. Con Rebel Alliance Empowering viene candidato più volte ai David di Donatello vincendo nel 2011 il premio per i Migliori Effetti Visivi Digitali. Introducendo il concetto di "Mediatore della Cultura Digitale" è stato incaricato docente in master-post laurea.