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Il valore di un voto

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Le elezioni, come espressione fondamentale della democrazia, rappresentano un momento cruciale nella vita di una società, un’occasione in cui i cittadini sono chiamati a esercitare il loro diritto di plasmare il futuro politico, sociale ed economico del proprio Paese.

Tuttavia, al giorno d’oggi, il significato delle elezioni si è trasformato, assumendo connotazioni complesse che riflettono le dinamiche di un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici, sociali e culturali.

In Italia, il recente referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025, con un’affluenza del 30,6% e il mancato raggiungimento del quorum, offre uno spunto significativo per analizzare il ruolo delle elezioni nella società contemporanea, con particolare attenzione al comportamento e alla percezione dei giovani.

Le elezioni, in senso lato, non sono solo un meccanismo formale per selezionare rappresentanti o decidere su questioni specifiche, ma un rituale collettivo che riflette il grado di coesione sociale, la fiducia nelle istituzioni e la capacità di una comunità di immaginare un futuro condiviso.

Dal punto di vista sociologico, esse sono un campo di osservazione privilegiato per comprendere come le strutture di potere, le identità collettive e le dinamiche culturali si intrecciano.

In un’epoca dominata dalla globalizzazione, dalla digitalizzazione e dalla frammentazione delle identità, il significato delle elezioni si è evoluto, passando da un momento di aggregazione sociale a un evento che spesso evidenzia divisioni, disillusione e polarizzazione.

Questo è particolarmente evidente tra i giovani, una categoria demografica che, in Italia come altrove, mostra un rapporto ambivalente con la partecipazione politica.

I giovani, definiti generalmente come la fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni, rappresentano un segmento cruciale della società, poiché incarnano il futuro delle istituzioni democratiche, ma il loro coinvolgimento elettorale è spesso limitato, come dimostrato dall’affluenza al referendum del 2025.

Il referendum del 2025, che ha riguardato cinque quesiti è un esempio emblematico di come le consultazioni popolari possano riflettere il clima sociopolitico di un paese.

Nonostante l’importanza dei temi, l’affluenza si è fermata ben al di sotto del quorum del 50% più uno richiesto per la validità del referendum. Questo dato evidenzia una tendenza consolidata in Italia: la difficoltà di mobilitare i cittadini per i referendum abrogativi, che richiedono un’elevata partecipazione per avere effetto.

Se guardiamo ai giovani dobbiamo chiederci se, quando motivati, possono essere protagonisti attivi del processo democratico?

Il comportamento elettorale dei giovani può essere analizzato attraverso diverse lenti teoriche, tra cui la teoria della disaffezione politica, il mantra sociale che si cela e le dinamiche di identità generazionale.

La disaffezione politica si riferisce alla crescente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni politiche e al loro progressivo distacco dalla partecipazione elettorale. In Italia, questa tendenza è particolarmente pronunciata, come dimostrato non solo dal referendum del 2025, ma anche da un trend storico di calo dell’affluenza alle elezioni politiche e amministrative.

Secondo dati del Ministero dell’Interno, l’affluenza alle elezioni politiche del 2022 è stata del 63,9%, un minimo storico rispetto al 95% delle elezioni del 1948. Questo declino è ancora più marcato nei referendum, dove l’affluenza media è del 59% rispetto alle elezioni politiche precedenti, come riportato da Internazionale.

I giovani, in particolare, sembrano essere i più colpiti da questa disaffezione, con tassi di partecipazione elettorale significativamente inferiori rispetto alle generazioni più anziane. Le ragioni di questa disaffezione sono molteplici e interconnesse. In primo luogo, percepiscono spesso la politica come distante dai loro bisogni concreti.

In un contesto come quello italiano, caratterizzato da precarietà lavorativa, disoccupazione giovanile e difficoltà di accesso al mercato immobiliare, le promesse elettorali appaiono spesso vuote o scollegate dalla realtà quotidiana.

Il referendum del 2025, con i suoi quesiti sul lavoro, avrebbe potuto rappresentare un’occasione per affrontare questioni cruciali per i giovani, come la precarietà e la sicurezza sul lavoro.

Tuttavia, la campagna referendaria è stata percepita come poco incisiva, con accuse di scarsa informazione da parte delle autorità. La mancanza di una comunicazione efficace, specialmente sui canali digitali frequentati dai giovani, come i social media, ha contribuito a limitare la loro mobilitazione.

Un altro fattore cruciale è la crisi del nostro vivere la socialità. Quello che definiamo come capitale del nostro sociale, inteso come l’insieme di reti, norme e fiducia che facilitano la cooperazione all’interno di una comunità, è in declino in molte democrazie occidentali, inclusa l’Italia.

I giovani, in particolare, hanno meno opportunità di partecipare a forme tradizionali di associazionismo, come sindacati, partiti politici o associazioni di quartiere, che in passato fungevano da canali di socializzazione politica.

La frammentazione delle comunità locali, accentuata dalla digitalizzazione e dall’urbanizzazione, ha ridotto gli spazi in cui i giovani possono sviluppare un senso di appartenenza politica.

Al contempo, i social media, pur offrendo nuove opportunità di partecipazione, tendono a favorire forme di attivismo sporadico e individuale, come il clicktivism, piuttosto che un impegno strutturato e collettivo.

L’identità generazionale gioca un ruolo altrettanto importante. I giovani italiani della Generazione Z e dei Millennials si trovano a vivere in un contesto di incertezza economica e sociale, segnato da eventi globali come la crisi finanziaria del 2008, la pandemia di COVID-19 e il cambiamento climatico.

Questi fattori hanno plasmato una visione del mondo che combina idealismo con pragmatismo, ma anche una certa sfiducia verso le istituzioni tradizionali. Possiamo dire, insomma, che la partecipazione giovanile al referendum non è stata uniforme. In alcune città, l’affluenza è stata trainata dalla concomitanza con le elezioni amministrative, raggiungendo percentuali alte.

Questo suggerisce che i giovani sono più propensi a votare quando percepiscono un impatto diretto e immediato delle elezioni sulla loro vita quotidiana. La sociologia ci insegna che la partecipazione politica è spesso guidata dal principio di razionalità strumentale: gli individui partecipano quando ritengono che il loro voto possa fare la differenza.

Nel caso dei referendum abrogativi, il quorum rappresenta un ostacolo significativo. Insomma, la consapevolezza che il referendum potrebbe non raggiungere la soglia necessaria per essere valido può scoraggiare i giovani, che già percepiscono la politica come un’arena in cui il loro impatto è limitato. Un altro aspetto sociologico rilevante è il ruolo dei media e della comunicazione politica.

I giovani di oggi consumano informazioni principalmente attraverso piattaforme digitali come Instagram, TikTok e X, dove il dibattito politico è spesso polarizzato e semplificato. La campagna referendaria del 2025 è stata criticata per la sua scarsa visibilità sui media tradizionali e digitali, nonostante il coinvolgimento di personalità che hanno cercato di mobilitare i giovani attraverso i social media.

Tuttavia, l’efficacia di questi appelli è stata limitata dalla mancanza di una strategia comunicativa coordinata e dalla percezione che il referendum fosse un’operazione di propaganda politica.

La teoria della scelta razionale, sviluppata da sociologi come Anthony Downs, può aiutarci a comprendere il comportamento elettorale dei giovani.

Secondo questa teoria, gli individui decidono se partecipare al voto soppesando i costi – tempo, energia, informazioni – e i benefici – impatto percepito del voto.

Dal punto di vista culturale, i giovani italiani sono influenzati da un contesto globale che promuove valori come la sostenibilità, l’inclusione e la giustizia sociale, ma si scontrano con un sistema politico che appare rigido e distante.

Per la Generazione Z, cresciuta in un’epoca di crisi climatica e movimenti globali come Black Lives Matter e Fridays for Future, le elezioni rappresentano un’opportunità per promuovere il cambiamento, ma anche una fonte di frustrazione quando i risultati non riflettono le loro aspettative.

Per i giovani, il quorum rappresenta una barriera psicologica: sapere che il loro voto potrebbe essere vanificato da una bassa affluenza riduce la motivazione a partecipare. Questo è particolarmente problematico in un contesto in cui la fiducia nelle istituzioni è già erosa, come dimostrato dal sondaggio Ipsos del maggio 2025, che ha rivelato che solo il 18% degli italiani credeva che il referendum avrebbe raggiunto il quorum.

La disaffezione politica dei giovani non è, tuttavia, sinonimo di apatia. Negli ultimi anni, i giovani italiani hanno dimostrato un crescente interesse per forme alternative di partecipazione, come i movimenti sociali e l’attivismo digitale. Certi Movimenti e le proteste contro la precarietà lavorativa hanno mobilitato migliaia di giovani, che spesso preferiscono queste forme di azione diretta rispetto al voto.

Un’ulteriore dimensione sociologica è il ruolo della socializzazione politica. La famiglia, la scuola e i media giocano un ruolo cruciale nel plasmare l’atteggiamento dei giovani verso la politica. In Italia, la socializzazione politica è spesso frammentata: le famiglie, tradizionalmente un canale di trasmissione di valori politici, sono meno influenti in un’epoca di individualismo e pluralismo culturale.

La scuola, pur offrendo programmi di educazione civica, fatica a coinvolgere gli studenti in modo pratico e partecipativo. I media, d’altra parte, tendono a sensazionalizzare il dibattito politico, contribuendo a una percezione negativa della politica come conflitto sterile.

Spesso la mancanza di un’educazione civica efficace limita la capacità dei giovani di comprendere i quesiti e il loro impatto, come evidenziato da un sondaggio che ha mostrato che il 32% degli italiani non era a conoscenza del referendum. Le elezioni dovrebbero essere un momento di dialogo pubblico, in cui i cittadini discutono razionalmente e raggiungono un consenso informato.

Tuttavia, il referendum ha evidenziato una carenza di spazi deliberativi accessibili ai giovani. La campagna referendaria, nonostante gli sforzi di associazioni e personaggi pubblici, non è riuscita a creare un dibattito inclusivo e informato. La complessità dei quesiti, unita alla scarsa copertura mediatica, ha reso difficile per i giovani partecipare in modo consapevole.

Questo è particolarmente problematico in un’epoca in cui l’accesso alle informazioni è frammentato e spesso mediato da algoritmi che privilegiano contenuti polarizzanti o sensazionalistici. In conclusione, il significato delle elezioni al giorno d’oggi, e in particolare del referendum del 2025, riflette una crisi più ampia della partecipazione politica, specialmente tra i giovani.

Dal punto di vista sociologico, questa crisi è il risultato di una combinazione di fattori: disaffezione verso le istituzioni, declino sociale, polarizzazione politica, barriere strutturali come il quorum e una comunicazione politica inefficace.

In conclusione, a mio avviso, è necessario riformare l’istituto referendario, rafforzare l’educazione civica e creare spazi di dialogo che coinvolgano i giovani in modo significativo.

Solo così le elezioni potranno tornare a essere un momento di coesione sociale e di partecipazione attiva, capace di rispondere alle sfide di una società in continua trasformazione.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.