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Il ninfeo marino di Tiberio: la Grotta Azzurra di Capri (NA)

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Grotta Azzurra a Capri (NA)


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Continuiamo a parlare di grotte, ma dal verde intenso della macchia mediterranea passiamo al profondo blu del Mare Nostrum, rivivendo i vezzi di quell’imperatore che, per cinque anni, scelse Capri (NA) come sua dimora, trasformandola a suo piacimento, quasi come se fosse un’unica grande domus a lui dedicata.

La Grotta Azzurra, antico ninfeo dove il divino Tiberio amava immergersi e giocare con i suoi efebi, ancora oggi evoca suggestioni imperdibili, racchiudendo in sé miti e racconti che si perdono nella notte dei tempi.

Si racconta che i giovanetti che non riuscivano a soddisfare i capricci del sovrano venissero destinati al famoso salto di Timperio, un precipizio a picco sul mare con un dislivello di circa 297 metri.

Tra storia e leggenda si narra che fosse collegata ad una villa tramite un cunicolo, andato poi distrutto con il trascorrere dei secoli. Nel suo interno vi erano varie statue rappresentanti creature marine, una, la più imponente, raffigurava il dio del mare Nettuno, nel suo tipico atteggiamento, mentre le restanti due ritraevano suo figlio Tritone. Tutte e tre sono conservate oggi nella Casa Rossa di Anacapri.

Si ipotizza che altre quattro siano state inghiottite dal fondo sabbioso della grotta stessa, poiché i basamenti su cui poggiavano sono ben visibili.

Per molti secoli i marinai, pur conoscendone bene l’ingresso, lo evitavano, quasi con una sorta di rispetto, poiché essa veniva indicata come il rifugio delle Nereidi, ninfe marine figlie di Nereo, metà uomo e metà pesce.

Per gli uomini di mare, queste figure dai capelli ornati di perle si spostavano cavalcando delfini, tartarughe giganti o, addirittura, su carri trainati da tritoni e avevano il compito di risalire in superfice per aiutare i marinai a ritrovare la giusta rotta.

Tre sono le più celebri, Teti, moglie di Peleo, da cui nacque Achille, Galatea, che trasformò il sangue del suo amato Aci, ucciso da Polifemo, in una sorgente, e Anfitrite, sposa di Poseidone e madre di Tritone, che, per gelosia, mutò l’amante del marito nel mostro Scilla.

Cavità carsica, lunga circa 60 metri, larga 25 e profonda 14, ha un ingresso molto piccolo e basso, due metri per uno, tanto che, per potervi accedere, bisogna stendersi sul fondo del gozzetto a remi preposto per la visita.

Nel suo interno, mare e pareti sembrano fondersi in un immenso abbraccio di un azzurro intenso. Questa particolare sfumatura è dovuta all’inclusione di raggi di sole che, prepotentemente, in determinate ore del giorno, entrano da una finestra marina sottoposta a circa 3 metri dall’ingresso. Tale peculiare filtraggio regala riflessi argentei agli oggetti immersi nell’acqua.

Il Duomo Azzurro, la più ampia e famosa delle spelonche, per secoli si pensava fosse la casa delle streghe. Si racconta che, proprio nel XVII sec., vi fossero entrati dei sacerdoti con l’intento di liberarla da questi demoni, ma il buio, la disposizione delle statue in modo da simulare un tempio con tanto di altare e, sicuramente, le storie popolari, sortirono l’effetto di far naufragare miseramente la missione e i prelati fuggirono accrescendo, così, le dicerie.

Gradola, come allora era conosciuto quel lato di costone – oggi, invece, è il nome di una spiaggia poco distante – rimase un vero e proprio tabù anche per coloro che non cedevano alla superstizione.

Nell’estate del 1826 sbarcarono a Capri August Kopisch, 27enne prussiano, letterato e pittore, giovane e aitante, e il suo amico e pittore Ernst Fries; colpiti dai racconti, pianificarono insieme a Giuseppe Pagano, albergatore, oste nonché notaio, il figlio dodicenne di questi, l’asinaio Michele Furerico e il pescatore – marinaio Angelo Ferraro, entrambi rematori, un giro dell’isola in barca con l’intento di sfatare il mito della Grotta del Diavolo, come era soprannominata agli inizi dell’Ottocento.

La voce si sparse in fretta, tanto che lo zio canonico tentò di scoraggiarli, ricordando la misera fine di quanti avevano tentato di sfidare Satana nell’antro maledetto. Finalmente giunsero a destinazione.

Nell’intento di purificare l’ambiente, prima di ogni cosa, spinsero all’interno della fenditura una tinozza contenente un braciere con un fuoco acceso, quindi si introdusse August, mentre gli altri scapparono via con lunghe bracciate.

Ernst, richiamato dalla voce rassicurante dell’amico, rientrò, riuscendo a godere, finalmente, delle meraviglie contenute. Senza indugiare, presero dalla barca il necessario e, immediatamente, riportarono su tela ciò che il loro sguardo riuscì a catturare.

La magia si compì; la fama della bellezza, del colore, oltre al contenuto archeologico più che rilevante, si propagò in pochissimo tempo, tanto da essere immediatamente inserita nel Gran Tour ottocentesco.

Kopisch, letterato e poeta, decise di inserire nel libro che stava scrivendo ‘Annuario Italia’, un capitolo dedicato a ‘La scoperta della Grotta Azzurra’, pubblicato solo dodici anni dopo a Berlino nel 1838.

Di seguito un piccolo estratto:

Io m’avanzavo a nuoto in una strana, ansiosa aspettativa, alla vana ricerca delle antichità. Mi accorsi ad un tratto che il notaio e il mio amico tedesco, i quali dapprima mi avevan seguito, ora tornavano indietro tutt’e due insieme, e mi voltai per sgridarli; ma quale non fu il mio terrore nel veder l’acqua, sotto di me, simile ad azzurre fiamme di spirito acceso!

Involontariamente feci come per levarmi, poiché, sempre accecato dal fuoco, credetti alle prime in un fenomeno vulcanico. Sentendo però che l’acqua era fredda, alzai lo sguardo alla volta, nel pensiero che il riflesso azzurro venisse di lì.

Ma la volta era chiusa, e finalmente, non avendo il fuoco davanti agli occhi, riuscii a distinguere in parte qualche cosa della sua configurazione. L’acqua mi rimaneva sempre maravigliosa, e se l’onde si fermavano un poco, mi sentivo le vertigini, come se nuotassi in un insondabile cielo azzurro.

Da molti anni è severamente vietato entrarvi a nuoto, ma posso asserire che non vi è caprese, nativo o di adozione, che non abbia ricevuto battesimo nelle sue acque, intrufolandosi, mentre il sole rosso fuoco al tramonto, bacia il mare all’orizzonte.

Proprio al calar del sole, il primo maggio del 1971, un gozzo sorrentino di 12 metri buttò il ferro davanti alla grotta, un papà incitò la figlia che, con maschera e pinne, senza indugiare, lo seguiva.

Il maestrale era totalmente calato, poche bracciate e l’angusto ingresso era alle sue spalle, il blu intenso dell’acqua l’avvolgeva, mentre, a mezz’acqua, due cavallucci marini volteggiano in una danza d’amore. Indimenticabile!

Foto Rosy Guastafierro

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.