Quando mi decido e vado dal parrucchiere è sempre un momento imprevisto.
Non sono capace di fare come molte signore che stabiliscono appuntamenti
settimanali. Io mi sveglio la mattina ed il mio umore mi dice cosa posso fare di quella giornata.
Non si tratta di una abitudine legata soltanto con l’età. Ci sono miei coetanei che hanno l’agenda più piena di quando lavoravano a stipendio. Io non posso prendere impegni troppo spesso.
Perché appena mi incastro in qualche attività, pure ludica come il teatro per esempio, comincio una lotta con me stessa e sui cento motivi che sono capace di inventare pur di non andarci.
Quindi quando decido di andare dal parrucchiere comincio il giro dei “Ah ma lei non ha prenotato…” per fortuna molta gente poco seria riserva un posto che poi non occuperà, ma soprattutto non avverte che non andrà. Purtroppo, però, non è il caso di questa mattina.
Sono al quarto parrucchiere superprenotato, ma la giornata è bella e non ho voglia di farmi scoraggiare perché ho proprio bisogno di qualcuno che mi faccia uno shampoo.
Come un lampo mi viene in mente il negozio delle cinesi all’angolo con via De Pretis, che non necessita di prenotazioni.
Mi fiondo e trovo ad accogliermi il sorriso gentile di questa ragazza, priva di erre, che mi chiede di “aspettale un attimo seduta qua che andlà achiamale il flatello che sta di là”.
Mi siedo tutta contenta e osservo le altre due componenti
l’équipe estetica che forma il personale del negozio, impegnate in una manicure favoloso a due clienti mai viste nel quartiere, segno che vengono apposta da fuori.
Sono proprio brave, ma non mi ingolosisce il trattamento ungueale, non le ho mai sopportate le unghie laccate, mi tiravo via pure lo smalto lucido, figuriamoci questi capolavori con le miniature i ching.
Torna la terza commessa/sorella con il fantomatico fratello parrucchiere e tutti giù a ridere. Tutti i cinesi. Ridono e se la sghignazzano tra loro, mentre io e le altre due clienti sorridiamo come tre ebeti mitteleuropee senza capire NIENTE, ma in fondo profondamente contente che qualcuno si occuperà della nostra estetica a un prezzo ragionevole e senza prenotazioni pre-Brexit.
Il fratello mi fa uno shampoo di quelli super energici che mi sembra di uscire da un combattimento di galli, e uno dei galli sono io, ma ancora taccio per non fare la parte di quella già vecchia e pure scocciante.
Mentre mi fissa un asciugamano usa e getta sulla testa, di quelli di carta resistente, si dicono di nuovo qualcosa in cinese e riprendono a ridere. Solo che stavolta mi trovano preparata e mi unisco al gruppo ridendo a crepapelle pure io, come se avessi capito qualcosa.
Ebbene smettono tutti sul colpo, segno che non lo trovano divertente e le loro facce tornano serie tutte insieme, mentre le altre due clienti mi guardano a bocca aperta… ma non ammirate.
Anzi. Piuttosto preoccupate che la demenza senile ridanciana abbia preso il sopravvento sulla sottoscritta, e addio tranquilla mattina a pittarsi le unghie.
Ooohhh ma almeno siamo finalmente tutti sulla stessa barca delle non-risate e fedeli al principio anti-bullo secondo il quale o ci si diverte tutti o nessuno, ma mai qualcuno a spese di qualcun altro.
Ecco. Insomma, ci siamo.
Devo dire che sono soddisfattissima del lavoro finale sui miei capelli. Preciso, veloce, ben fatto. Credo di non aver mai avuto i capelli così in ordine e puliti.
Bravo ragazzo. Gli animi si sono distesi e dunque sorridenti e soddisfatti tutti, lascio mancia e negozio. Sorridono, ma non ridono.
Mi faccio un giretto nei giardinetti della zona, perché è veramente ancora presto, mi piacerebbe trovare un baretto nuovo per un caffè caldo che ci sta proprio bene prima di pranzo.
A casa Di Marino lo abbiamo sempre bevuto prima di mangiare il caffè, mai dopo, ma non saprei dire perché. Non l’ho mai saputo, solo che ora è una dolce abitudine a cui non so rinunciare.
Con me al bancone, riflessa nello specchio dietro la macchina del caffè, vedo una pettinatura complicata e decorata con nastri colorati, ma non riesco a capire da dove mi sorride la ragazza, da quale parte mi sta guardando.
Un vetro riflesso in uno specchio, che ne sta riflettendo un altro… ma mentre mi districo tra tutte queste immagini per tentare di capire da dove mi sta guardando questa pettinatura, scorgo dietro la prima riflessione pure il mio parrucchiere cinese che sta giocando i suoi guadagni in una slot machine.
Mi dico che la sorella, allora, è venuto a cercarlo proprio in questo baretto con le macchinette mangiasoldi… mi dispiace per lui.
So cosa vuol dire avere qualcuno accanto che ha il vizio del gioco. Mia madre ha recuperato più di una volta mio padre in cantina a giocare a carte.
Prima degli anni Ottanta non c’erano tanto le macchinette del poker e nemmeno queste diaboliche slot machine, ma il vizio del gioco e le sue derive drammatiche esistono dai tempi dell’astragalo e dei romani antichi.
Finché ha vissuto mia madre nessuno si sognava di dar via soldi nemmeno per giocarsi i numeri derivati da un sogno favoloso al lotto.
In vecchiaia, invece, mia sorella Teresa aveva avuto la rivelazione e sosteneva che era stata proprio mamma, contraddicendo tutta la sua vita, a darle i numeri vincenti di una schedina del totocalcio.
Giocava ogni settimana una schedina così composta: tre X, poi sette 1 di seguito e per finire di nuovo tre X. Mai vinto niente, ma hai visto mai…
Mi avvicino alla cassa e chiedo alla cassiera di giocare una schedina. Lei mi guarda come se avessi detto che è entrato un marziano nel bar e mi chiede cosa vuol dire. Io altrettanto scandalizzata le rispondo che è la schedina del calcio, voglio tentare la fortuna e provare a fare tredici al totocalcio.
Per fortuna lo zio al banco le spiega che cosa sto cercando e poi pazientemente tutti mi si avvicinano e tra l’appassionato e il divertito si lanciano in una mega spiegazione di numeri squadre pacchetti di cifre e risultati… insomma certo esiste il calcio, ma la schedina non esiste più e non si giocano più le partite dello scudetto in un solo giorno ma in diversi giorni della settimana.
Insomma da circa 15 anni, mi dicono, bisogna andare in un negozio specializzato e giocarsi le squadre, le reti, i punti…
Io non mi ero accorta per niente di questo nuovo mondo a pezzetti, ma non sono certa che mi piaccia questa vita a porzioni ad emozioni, a linee e quadratini, a scartamento ridotto e a tempo.
Adesso è spuntato fuori anche il parrucchiere cinese dal retro bottega e, anche a lui, tutti spiegano che volevo giocare la schedina. Lui si sbellica, chiaramente in questo caso so bene pure io perché, e nemmeno stavolta lo trovo divertente.
Devo dire che nonostante sia un bravo parrucchiere, alla fine mi sta antipatico. E sta antipatico pure a mia sorella Teresa. E spero che non gli vada in sogno a dare dritte su come si vince alla slot machine.

Autore Barbara Napolitano
Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.