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Homo Venafranus

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A Venafro il ritrovamento neolitico più importante del sud Italia

Con grande emozione ed orgoglio riporto una notizia che riguarda la mia Venafro, che da oggi riscrive la storia dell’archeologia: ritrovati due insediamenti umani protostorici con l’impronta di un bambino molto piccolo e ossa di adulti. Che il sottosuolo di Venafro nascondesse importantissimi reperti archeologici di età romana e sannitica esposti al Museo Archeologico cittadino era cosa risaputa; che gli scacchi più antichi d’Europa fossero stati scoperti proprio qui ed esposti per anni al Museo Archeologico Nazionale di Napoli pure; altrettanto notorio che al centro della cittadina avessimo un Verlasce, un anfiteatro risalente al I sec. a.C. (che insieme al Parlascio di Lucca è l’unico in Italia ad avere particolari caratteristiche come un impianto ellittico di diametro 110×85 metri che ospitava fino a 15.000 spettatori); o ancora il teatro romano risalente alla prima età augustea di notevoli dimensioni (circa 60 metri con una cavea che accoglieva 3.500 spettatori); la torricella di avvistamento dei I sec. a. C. sullo sperone di una roccia della montagna; la Torre del Mercato, (Palazzo Caracciolo), altra struttura difensiva di origine medievale; il castello Pandone, eretto sui ruderi di una fortificazione romana già prima dell’862…

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L’elenco delle innumerevoli tracce del passato potrebbe proseguire ancora a lungo, ma si tratterebbe di notizie già condivise dai più.

Torniamo alla sensazionale scoperta di questi giorni. Due insediamenti umani protostorici, dicevamo, o più dettagliatamente, due villaggi di grandi dimensioni, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro: il sito A, in localitàTenuta Nola, si estende lungo 350 metri lineari; il sito B, in località Camiciola, su 70 metri lineari.

Anche in questo caso, a preservarli è stato un provvidenziale intervento di Madre Natura: il fiume Volturno, esondando, li ha ricoperti di limo sigillandoli per secoli. A presenziare alla conferenza stampa svoltasi il 22 ottobre proprio al Verlasce, il Direttore regionale dei Beni culturali, il dott. Gino Famiglietti, insieme alle archeologhe responsabili del ritrovamento, la dott.ssa Maria Diletta Colombo e la dott.ssa Mariangela Rufo, e al sindaco di Venafro, Prof. Antonio Sorbo. “Quelli di Venafro sono ritrovamenti non casuali – ha spiegato Famiglietti facendo una dovuta premessa – ma rappresentano il frutto della cosiddetta ‘archeologia preventiva’, fatta di verifiche previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, necessarie alla realizzazione di lavori pubblici in aree ritenute di interesse archeologico.

Il sito di Tenuta Nola, avendo subito un’interferenza di natura antica, presenta una pluristratigrafia. Due metri sopra di esso, tra il III sec. a. C. e il I secolo d. C., si insediarono i Romani, moltissime le tracce: fori di capanne e palizzate, resti di armi rudimentali, ceramiche, olle, vasellame ben conservato, giacenti per gran parte sul fondo di un pozzo profondo circa 4 metri, al di sotto del quale, pare addirittura a 30 metri, potrebbe esserci altro materiale neolitico. I reperti, probabilmente, erano stati gettati via dai Romani quando lasciarono la piana di Venafro.

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Il materiale rinvenuto è molto significativo – ha proseguito Famiglietti – a testimonianza dei traffici che già avvenivano all’epoca tra varie parti del territorio nazionale. Di particolare interesse, le lame e i nuclei di ossidiana, un vetro vulcanico che si produce dopo le eruzioni, proveniente dalle isole Eolie, dalla Sardegna o da Ponza, a riprova delle direttrici di traffico che attraversavano il Tirreno”. Ma la scoperta più sensazionale riguarda l’impronta di un bimbo molto piccolo, poco più che neonato, lungo appena 45 centimetri, probabilmente vissuto 5-6mila anni prima di Cristo, di cui solo le ossa lunghe sono ancora chiaramente leggibili, mentre le altre, soprattutto quelle del cranio, sono mal conservate. La circostanza “fa tenerezza, commenta ancora Famiglietti, ma testimonia le condizioni di vita molto dure in cui vivevano queste popolazioni, pur in un ambiente relativamente tranquillo, una piana attraversata dal fiume e con condizioni climatiche abbastanza agevoli rispetto ad altre parti del territorio”.

Non solo resti umani però; è comparsa anche la costola di un elefante e solo i risultati delle indagini al Carbonio 14, che saranno eseguite dal Centro nazionale di ricerche, ci indicheranno l’epoca giusta, comunque plausibilmente neolitica.

Il sito di Camiciola presenta invece una stratigrafia intatta, cosa in sé rarissima, perché ‘sigillato’, come dicevamo, da un’esondazione del Volturno. Scoperti anche importanti resti faunistici e ossa umane di adulti, segno evidente di come fosse consuetudine seppellire i morti all’interno dei villaggi. Ma anche strutture abitative, mura, resti di punte e di alcune tombe.

“È raro che si possa identificare un’area così estesa risalente a quest’epoca, a fronte degli insediamenti più diffusi che si trovano soprattutto nel Tavoliere delle Puglie o della Pianura Padana”, avverte la Colombo. «Lo scheletro del bimbo si trova nell’area del suo villaggio, in questo senso è la testimonianza più antica d’Italia di un bimbo all’interno del suo insediamento – continua la Colombo – è stato rinvenuto oggi così come lo hanno lasciato nell’epoca neolitica, non a caso siamo nella pianura di Venafro che ancora non è stata mai interessata da interventi moderni». Tutte le ossa sono in connessione. Il teschio, le braccine, le costole, le gambine; dei piedi si conservano i talloni e le caviglie.

Le due archeologhe hanno poi riassunto, con il supporto di slide, i risultati di circa due anni di lavoro in tutta la Regione Molise, sottolineando come, sempre a Venafro, siano affiorate anche tracce di una centuriazione (schema con il quale i Romani organizzavano il territorio agricolo) e del sistema di suddivisione agraria. È innegabile che con queste importantissime scoperte, Venafro divenga il nuovo fulcro dell’archeologia dell’Italia centro-meridionale. Famiglietti conclude la conferenza stampa affermando la sua intenzione di procedere ad una trattativa privata o un esproprio del terreno oggetto dei ritrovamenti. Una volta completato lo scavo, queste meraviglie del sottosuolo saranno valorizzate in un’apposita sezione del Verlasce in parte già ristrutturato, che ritiene essere il luogo più idoneo in cui ubicare il Museo del Neolitico, ricostruendo e mostrando così al pubblico i villaggi dell’Homo Venafranus.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.