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Evviva la razza e abbasso il velo?

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Quel che non si sa ma si crede di sapere

Dal momento che sui social girano molti post contro gli immigrati ho deciso di applicare un po’ di Par Condicio.

Vediamo da dove è nato il luogo comune:

Gli africani sono tutti pigri!

Siamo nel Congo Belga di Re Leopoldo Secondo che, a ben guardare, lì, il Belgio, proprio non ci dovrebbe stare, intorno al 1.900. La Force Publique, tutta di pelle bianca, tagliava le mani agli indigeni che non rispettavano le quote sulla raccolta del caucciù. Non le tagliavano ovviamente ai contadini, poiché questi ultimi erano la forza lavoro.
Le tagliavano ai loro familiari, alle mogli e ai figli, tutti neri, naturalmente. Era la punizione più gentile nei confronti dei pigri africani.

Vogliamo poi parlare della maggiore esportazione del tabacco? C’è qualche lettore che fuma? Ebbene, la maggiore esportazione del Malawi, organizzata dalle forze multinazionali occidentali bianche del fumo, è proprio la sopra citata sostanza. Decine di migliaia di bambini, tutti neri, che, fino a pochissimo tempo fa, lavoravano dall’alba al tramonto con paghe da minima sopravvivenza. L’Africa ha un miliardo e centomila abitanti e vanno dalla costa mediterranea del Capo di Buona Speranza fino all’Oceano Atlantico e dall’Atlantico a quello Indiano, e se proprio li vogliamo vedere tutti non possiamo dimenticarci delle carovane del Sahara e dei grattacieli a Johannesburg.

Insomma, il continente africano contiene tre volte l’Europa, perciò, i suoi abitanti, come si può stupidamente etichettarli tutti?

Leggendo Pietro Veronese ho scoperto che l’Africa è il Paese delle fatiche. Allevatori nomadi del Sahel, contadini delle zone più umide, facchini a Mombasa, minatori sudafricani, fascine caricate sul capo delle donne e pietre spaccate a forza di braccia, sullo stile del film indiano ‘Lion’, e chi più ne ha più ne metta. Si scopre così che i neri pigri sono, in realtà, nella maggior parte dei casi, schiene spezzate dalle fatiche fin da bambini.

I bianchi? E la razza bianca? A ben guardare i bianchi sono sporchi. Si soffiano il naso e rimettono quella robaccia nella borsetta o nelle tasche. Se vogliamo vivere di pregiudizi abbiamo molte occasioni per cascarci dentro, non vi pare?

Quando non si conoscono le cose alla loro fonte, si rischia di assumere posizioni ridicole in merito agli usi e i costumi che appartengono a culture diverse.

Quanti di noi sono a conoscenza, per esempio, dell’origine dei capelli lunghi, delle donne, e di quelli corti degli uomini?
Libera scelta? Oppure dimenticanza di un’imposizione?

Il tutto nacque dalla Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo:

È la natura stessa ad insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna poiché la chioma le è stata data come se fosse un velo!

In pratica, la donna cristiana, a detta di San Paolo, se non voleva portare il velo doveva farsi crescere i capelli per ben piacere a Dio.

Ridicolizziamo le imposizioni dei veli e non muoviamo un dito sulle imposizioni delle cravatte quando si tratta di meeting o professioni particolari, politica compresa.
Eppure quel nodo stupido alla gola è nato intorno al 1.600 dai militari mercenari croati, i quali indossavano foulard annodati mentre svolgevano servizio in Francia.
Quei foulard presero il nome di cravatta a causa di una pronuncia bislacca “hrvati” che i francesi chiamavano croate.

Ma sapete com’è, ai parigini piacevano così tanto quei fazzoletti legati alla gola che li fecero diventare una moda in uso ancora oggi, con l’aggravante dell’obbligo in molte situazioni di lavoro.

C’è una cosa in particolare che fa sorridere, e non poco. Avete presente quei grandi manager che si preoccupano di portare idee e creatività nelle imprese? Si vantano di essere superlativamente creativi ma poi non riescono a rinunciare alla “sacra abitudine” di quel cappio al collo chiamato cravatta.

Morale della favola? Porre troppa attenzione a quella che viene considerata stupidità degli altri, impedisce di vedere la propria!

Per quanto mi riguarda, le donne con il velo possono suscitare lo stesso fascino di coloro che hanno capelli lunghi o corti.

Che ognuno si senta libero di indossare gli “obblighi” che preferisce ma, soprattutto, coloro che pretendono di liberare gli altri dalle imposizioni, dovrebbero prima imparare a liberarsi dalle proprie.

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Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.