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Equinozio d’autunno in Massoneria

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L'equinozio d'autunno


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L’Officina si rianima. Operai, compagni e maestri prendono posto nella Loggia. Bisbigliano nel silenzio. Sono tanti ma non tutti. I più esperti sanno che i lavori non si interrompono mai.

Nel cuore dell’estate, ora in fin di vita, hanno riposto ordinatamente i simboli del lavoro: la squadra angolare, il compasso largo all’infinito, la disciplina dei giorni, la libertà dell’essere qui ed ora, il mistero dell’altro che è parte di noi.

La luce misteriosa dell’Oriente, la parola che ci guida. E questo il lavoro di uomini santi che sanno e non sanno di partecipare al respiro costruttivo del cosmo. Latenti e semi-svegli riproducono qui ed ora la norma celeste, la via tradizionale incompiuta, sepolta e dissepolta nel sonno del cuore e della ragione.

Tutto è giusto e perfetto. Anche l’imperfezione reale e apparente di questa guida mezza cieca e mezza illuminata che tenta di tracciare con sguardi e parole la via. Che a tratti, oltre il baratro del sole invernale, appare splendente, mondata per un attimo eterno dalla profanità e dal vizio.

Ora siamo imprigionati nello iato tra mezzogiorno e mezzanotte. Cestinati in una fossa profonda viscida come cristallo inscalabile e impenetrabile. L’energia discendente dell’equinozio ha il colore delle foglie che cadono, come i nostri desideri più infimi che si staccano nella muta.

La mano calda affonda nella terra nuda e scopre o risente il senso del freddo, un profondo, abissale umidore da riscaldare con un calore che ancora non si possiede totalmente, che forse non si possiederà mai.

L’anima è ancora lontana, inafferrabile come una stella, le dita la sfiorano, la trovano, la perdono. L’anima si forma e riforma. L’anima spande polvere di ferro. Cenere infertile, indistruttibile che precipita nella terra e nell’acqua e ne inquina le falde.

Qualcuno preavverte il movimento sulla pietra. Colpi secchi e calibrati tentano di dare una forma. Echeggiano e si dissolvono, si staccano frammenti e scaglie di verità. Ci feriscono a sangue. L’amore è un dovere che si sfugge volentieri per amore di sé stessi, la fatica stanca. La bilancia oscilla. Sembra spezzarsi in due. Non sappiamo e non capiamo più niente.

E proprio in quell’istante tutto trova quiete nel ritmo naturale del rito. Per un attimo tutto si raddrizza, tutto appare chiaro: l’amore, il dovere, la libertà, la devozione, il proposito.
Il tempio della nostalgia, il tempio violato nel sonno, il tempio desiderato e mancato ora è intatto. Le sue pietre vive, vigorose si muovono insieme.

Si cresce solo nel perdersi e nel ritrovarsi. Ora sappiamo che la fatica del fare e del dare è un dono estremo e pericoloso scaturito da una sovrumana, inafferrabile architettura del cuore.

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Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.