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E io rinascerò

rinascerò

Si muore tutte le sere, si rinasce tutte le mattine: è così. E tra le due cose c’è il mondo dei sogni.
Henri Cartier-Bresson

L’individuo è un eterno incompiuto, un viandante che inciampa e si rialza, un tessitore di sogni che cuce il proprio destino con fili di speranza e disperazione.

La sua rinascita, questo incessante ritorno a sé stesso, non è mai un punto d’arrivo, ma un movimento perpetuo, un’onda che si frange e si riforma sotto cieli mutevoli, intrecciata a una spiritualità che, come un respiro, lo accompagna dall’antichità remota fino al nostro tempo frammentato, quando l’umanità sembra oscillare tra la promessa di un futuro radioso e l’ombra di un collasso imminente.

Se guardiamo indietro, non è forse sempre stato così, non è forse questa tensione tra caduta e riscatto, tra il bisogno di senso e la paura dell’ignoto, il cuore stesso della nostra storia?

Una storia che inizia nelle caverne, dove il primo uomo, con mani tremanti, tracciava segni di cervi e bisonti sulle pareti umide, non solo per ricordare la caccia, ma per afferrare un significato, per dare forma al caos dell’esistenza.

Quel gesto, così semplice, era già una rinascita, la volontà di trascendere la mera sopravvivenza, di creare qualcosa che durasse oltre la carne, ma anche l’alba di una spiritualità, perché in quei disegni c’era una reverenza, un dialogo con l’invisibile, con spiriti della natura o antenati senza nome.

L’uomo, alzando gli occhi al cielo stellato, si chiedeva cosa fosse quel bagliore, cosa fosse il battito dentro di sé, e quella domanda, quel percepire un mistero più grande, è il seme di ogni ricerca spirituale, un bisogno antropologico che ci ha spinto fuori dalle grotte, verso le pianure fertili.

Ed ecco che ha smesso di essere solo predatore e ha imparato a seminare, a costruire, a pregare.

Le prime città, da Uruk a Teotihuacán, non erano solo mucchi di pietra, ma atti di fede, tentativi di ordinare il mondo, di rispondere al terrore dell’ignoto con templi e leggi, e la spiritualità, in quel tempo, era collettiva, radicata nei riti che univano le comunità, nei miti di dèi che plasmavano la terra, come Enlil in Mesopotamia o Ptah in Egitto.

Storie che non erano semplici favole, ma modi per affrontare la morte, la siccità, la perdita e le ziggurat, con le loro scale verso il cielo, erano ponti tra l’umano e il divino, luoghi dove si offrivano sacrifici, non solo per placare gli dèi, ma per sentirsi parte di un disegno più grande.

Anche allora, come ci mostra l’antropologia, c’era spazio per l’individuo, per lo sciamano che sognava visioni, per la donna che pregava per il raccolto.

Questa dualità, tra personale e condiviso, è una costante che attraversa i millenni, ma l’uomo cadeva, oppresso da re tiranni, da dèi capricciosi, da guerre che macchiavano la terra di sangue.

E ogni caduta sembrava la fine, ma non lo era mai, perché l’umanità, fragile com’è, ha sempre trovato il modo di rialzarsi, di riscrivere la propria storia.

In Egitto, sotto il peso delle piramidi, l’uomo immaginava un aldilà dove il cuore sarebbe stato pesato contro una piuma, una spiritualità che prometteva giustizia oltre la vita, mentre in India, i Veda cantavano di un cosmo ciclico, di un’anima che torna, si trasforma, cerca la liberazione e queste visioni, così diverse, avevano un punto in comune, il desiderio di trascendere il dolore, di trovare un senso eterno.

Quando arriviamo alla Grecia antica, vediamo un nuovo capitolo, non solo della rinascita, ma della spiritualità, perché Socrate, con la sua ostinata ricerca della verità, ci insegnò che la rinascita non è solo costruire mura più alte, ma scavare dentro di noi. Il suo “conosci te stesso”, inciso sul tempio di Apollo, era un invito a esplorare il divino non più solo nei riti, ma nel pensiero, nella ragione.

Platone, con le sue idee eterne, immaginava un mondo oltre il visibile, un’eco di quella trascendenza che l’individuo ha sempre cercato, mentre Aristotele, più terreno, cercava l’ordine nel mondo naturale.

Accanto a tali altezze filosofiche c’erano i misteri eleusini, i culti di Dioniso, dove la spiritualità si faceva estasi, danza, comunione con la natura, e questa tensione, tra razionalità e misticismo, tra individuo e collettività, definisce la Grecia, un luogo dove l’uomo, per la prima volta, si pone al centro, non più schiavo del fato, ma artefice del proprio pensiero, anche se quel pensiero, come sappiamo, è un’arma a doppio taglio.

Accanto alla luce di Atene, infatti, c’era l’ombra di guerre fratricide, di schiavitù, di esili, e Roma, che raccolse quell’eredità, costruì strade, acquedotti, un impero che sembrava eterno, ma anche croci e arene, e la sua spiritualità era un mosaico, dagli dèi ufficiali come Giove ai culti stranieri di Iside e Mitra, segno che l’uomo, anche in un mondo di leggi e legioni, continuava a cercare risposte diverse, a desiderare un legame con l’aldilà.

Quando l’Impero cadde, sotto il peso delle invasioni e delle sue contraddizioni, sembrava che il mondo dovesse tornare al silenzio, ma si trovò un nuovo linguaggio, un nuovo sogno, e il cristianesimo, con il suo Dio unico e personale, rispose a un bisogno antico, quello di un amore universale, di una promessa di redenzione.

La spiritualità cristiana, con i suoi martiri, i suoi monaci, i suoi concili, non cancellò il passato, ma lo trasformò, portando l’idea di un Dio che non era più distante, ma vicino, dentro ogni cuore.

Il Medioevo, spesso dipinto come un’epoca oscura, fu in realtà un’esplosione di rinascita e spiritualità, dalle cattedrali gotiche che sembravano voler toccare il cielo, con le loro vetrate che raccontavano storie di salvezza, ai manoscritti copiati nei monasteri, che custodivano il sapere di Aristotele e Virgilio.

E pensiamo ai mistici, come Hildegard von Bingen, che parlavano di visioni divine, o a Francesco d’Assisi, che vedeva il sacro in ogni creatura.

Anche allora, accanto alla Chiesa ufficiale, c’erano le eresie, i pellegrini, le donne accusate di stregoneria, che cercavano una spiritualità più intima, più libera.

La ricerca di libertà esplode nel Rinascimento, quando l’uomo, riscoprendo i testi antichi, si guardò allo specchio e vide non solo un peccatore, ma un creatore, capace di dipingere la Cappella Sistina, di misurare le stelle con Galileo, di immaginare città impossibili con Leonardo.

E ancora, Marsilio Ficino, che, fondendo cristianesimo e neoplatonismo, vedeva l’anima come scintilla divina, mentre l’arte di Michelangelo celebrava il corpo come tempio dello spirito.

Tuttavia, anche in quel trionfo, c’erano ombre, guerre di religione, roghi, epidemie, perché la rinascita, come la spiritualità, non è mai pura, è un intreccio di luce e oscurità, e l’uomo, pur celebrando la propria grandezza, non smetteva di ferirsi, di dividersi.

L’Illuminismo, con il suo culto della ragione, sembrò voler spezzare quel filo, relegando la religione a superstizione, ma non ci riuscì del tutto, perché anche Kant, che ci esortava a sapere aude, parlava di un ordine morale universale.

Voltaire, pur criticando la Chiesa, immaginava un “orologiaio” cosmico, mentre Rousseau vedeva il sacro nella natura, nel sentimento e la spiritualità, cacciata dalla porta, rientrava dalla finestra, trasformata, meno dogmatica, più individuale.

Il Romanticismo portò questa trasformazione al culmine, con poeti come Wordsworth che trovavano Dio in un prato, Blake, che immaginava mondi spirituali oltre la realtà visibile, Shelley, che cantava la libertà dello spirito.

Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, tradizioni come il buddhismo, con la sua via verso il nirvana, o l’induismo, con i suoi cicli di reincarnazione, continuavano a evolversi, incontrandosi con l’Occidente in un dialogo che arricchiva il mosaico, perché la spiritualità, come la rinascita, non ha confini, è un canto globale.

Il Novecento, con le sue crisi, ha messo alla prova questo canto, perché due guerre mondiali, totalitarismi, l’orrore dell’Olocausto, sembravano negare ogni senso, ogni trascendenza, e l’individuo, di fronte a trincee e campi di sterminio, avrebbe potuto arrendersi, ma non lo fece.

E pensiamo a chi ha resistito, a chi ha scritto poesie tra le baracche, come Etty Hillesum, che trovava speranza nell’inferno, a chi ha ricostruito città dalle macerie, a figure come Gandhi, che univa azione e contemplazione, o Martin Luther King, che trasformava la fede in lotta per la giustizia.

E la rinascita, ancora una volta, si fece strada, non solo nei trattati di pace o nelle nuove nazioni, ma nei cuori di chi rifiutava l’odio, di chi marciava per i diritti civili, di chi immaginava un mondo più equo.

E la spiritualità, in quel secolo tormentato, trovò nuove forme, dal ritorno al misticismo orientale, con il buddhismo zen che conquistava l’Occidente, alle comunità che cercavano risposte fuori dalle istituzioni.

E pensiamo al Concilio Vaticano II, che aprì la Chiesa al mondo, o ai movimenti New Age, che, pur con le loro contraddizioni, erano un grido di libertà, un desiderio di riconnettersi al cosmo.

Oggi, nel nostro tempo, che è insieme meraviglioso e spaventoso, la rinascita e la spiritualità dell’uomo sono più complesse che mai, perché viviamo in un mondo iperconnesso, dove le distanze si annullano, ma la solitudine cresce, dove le tecnologie ci avvicinano e ci isolano.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.