Iniziamo dai fatti purtroppo accertati.
Il primo è che una bambina di neanche 14 anni è morta in un incidente stradale.
Altra certezza, l’incidente è avvenuto nel pieno della notte, o prima dell’alba, ad un orario dove chi studia dovrebbe essere a casa a dormire.
Ancora: l’auto di grossa cilindrata, poco prima dell’incidente era lanciata a alta velocità e la prova è un video su TikTok, il social dei giovanissimi, quello spazio a prova di adulti di cui anche i preadolescenti sono gelosi.
Prima delle considerazioni, diamo un altra certezza a questi ragazzi, una notizia che ad alcuni di loro potrebbe non fare piacere: crescerete, e dovrete abbandonare questa comfort zone fatta di immagini filtrate, approvazione ad ogni costo, perfezione assoluta o dove qualcuno vuole mostrare supposti disagi o sofferenze che paiono proprio create ad arte.
Tutti crescerete.
Tranne Jennifer che, sembra, è uscita di nascosto di casa quella sera non per scappare di casa, cercare fortuna, un lavoro, una dimensione, bensì per vivere un’esperienza spiattellata sui social.
Di chi sono le responsabilità?
Quelle del guidatore le accerterà la magistratura; quelle dei genitori lasciamole all’interno di casa loro e lasciamoli in pace.
Ma, da vecchio boomer, mi chiedo se ci siano responsabilità dei social. Specialmente di TikTok. Quel social che non in pochi considerano una droga sia per chi vive scrollando sia per chi segue video che sono fatti da challenge mortali per emularli.
Poi mi dico che accadeva già ai tempi di James Dean in ‘Rebel without a cause’ – che brutta la traduzione ‘Gioventù bruciata’, forse figlia del perbenismo dell’epoca – o di Gassman e de ‘Il Sorpasso’. Ma in quanti li imitavano?
I social sono responsabili. Non nascondiamoci dietro a un mouse o allo schermo dello smartphone.
Ma è solo di TikTok la colpa? O un po’ di tutti noi. Di chi ha trasformato l’adolescenza in un circo, dove ogni gesto dev’essere applaudito. Di chi ha creduto che lasciare i giovani soli nei meandri della rete fosse un atto di libertà. Di chi ha costruito piattaforme che non educano, ma consumano.
Jennifer non è morta solo su una strada a 150 all’ora. È morta anche in una società che non sa più dire di no, che non mette limiti o paletti, di una scuola che non boccia e garantisce assoluzioni plenarie.
Forse è il momento di rallentare. Non per giudicare, ma per fermarsi e riflettere. Perché, se non lo facciamo, la prossima Jennifer potrebbe essere già lì, pronta a salire su un’altra macchina lanciata verso il nulla.

Autore Gianni Dell'Aiuto
Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.