Lucia Stefanelli Cervelli non tradisce l’attesa con un’intensa drammaturgia ispirata a Gozzano
Ieri, 1 aprile, ore 21:00, presso il Teatro Il Primo, Viale del Capricorno, 4, Napoli, abbiamo assistito, con piacere, allo spettacolo ‘Controcanto alla felicità’, scritto e diretto da Lucia Stefanelli Cervelli, con Lucia Stefanelli Cervelli e la partecipazione di Arnolfo Petri. Luci e fonica Paolo Petruzziello.
Particolarità della messa in scena: quando viene fatta sala e prendiamo posto in teatro, gli attori sono già sul palco, seduti spalle contro spalle e perfettamente immobili.
Il nodo centrale di tutta la pièce è la poetica di Guido Gozzano partendo da ‘La signorina Felicita ovvero la Felicità’, presente ne ‘I colloqui’ dell’autore torinese, declamata da Arnolfo Petri, a cui fa da contraltare la recitazione e la drammaturgia di Lucia Stefanelli Cervelli in un perfetto gioco di luci che mettono in evidenza ora l’una ora l’altro.
La musica soave ed avvolgente di un pianoforte si alterna a più fredde registrazioni vocali dei protagonisti che sottolineano il distacco da sé e dal mondo.
La scena appare scarna ma funzionale e suggestiva.
La dualità della rappresentazione è data anche dall’evidente differenza sociale tra i due, esplicitata dalle suppellettili e dai costumi.
Mentre la protagonista, vestita in abiti semplici e mesti, è in un angolo dell’‘bell’edificio triste inabitato’ che odora d’ombra, di passato, d’abbandono desolato, con un malinconico ‘arredo squallido e severo’, l’interprete maschile, con indosso un completo costoso, è accomodato su di una ricca poltrona, con affianco una statua di marmo e appeso alla parete un quadro di Caravaggio.
Il facoltoso avvocato di città, ma soprattutto poeta gravemente malato, conosce, in un paese di campagna, Felicita, l’ingenua e poco istruita figlia di un contadino, che si innamora di lui.
In una delle tematiche ricorrenti del Crepuscolarismo, il narratore è attratto dalla quotidianità banale e ripetitiva del piccolo centro e, in qualche modo, dalla stessa ragazza che arriva a descrivere destrutturando quelli che sono i canoni classici della poesia d’amore, definendola in modo poco lusinghiero:
Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
ma la tua faccia buona e casalinga,
ma i bei capelli di color di sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà fiamminga…
Il legale arriva anche a proporle il matrimonio, ma l’idillio tra i due è destinato a non consumarsi perché lui decide di partire. Il ‘distacco, amaro senza fine’, ‘distacco d’altri tempi’, li terrà separati per sempre.
Troviamo qui un altro degli elementi ricorrenti di Gozzano, la letteratura come vita.
Il sogno, tregua dalla vita e sua ‘racconsolazione’, se raggiunto, è destinato ad infrangersi; può essere mantenuto vivo solo ed esclusivamente nell’illusorio ricordo di qualcosa che, in fondo, non è mai stato.
Sebbene l’uomo le prometta di tornare da lei dopo il suo viaggio in India, non terrà fede al suo impegno.
Il desiderio-sogno gozzaniano si sublima solo nella non realizzazione, come riassunto nel verso ‘Non amo che le rose che non colsi’ presente in ‘Cocotte’, un’altra celebre opera dell’intellettuale piemontese.
La vita è altrove; l’esistenza, dunque, si incarna nella chimera di qualcosa che non è stato vissuto, che resta mera eventualità; così come il luogo ideale è l’altrove, concetto in qualche modo richiamato più tardi da Milan Kundera nel suo romanzo ‘La vita è altrove’ che vede come protagonista proprio Il poeta, Jaromil.
La fuga appare come l’unico modo per conservare, paradossalmente, l’autenticità e l’effettività del sentimento.
Mentre Arnolfo Petri recita in modo impeccabile i versi tratti da ‘I colloqui’, il controcanto di Lucia Stefanelli Cervelli, intenso e colto, è fitto di citazioni e riferimenti ed esprime, anche attraverso una seria di ossimori, la contraddizione tra apparenza e realtà.
Ci sembra di aver colto un omaggio a Marcel Proust ne ‘La recherche du temps perdu’, a Egon Schiele ne ‘L’abbraccio’, a Giacomo Leopardi ne ‘Amore e morte’ e ‘Le ricordanze’, a Luigi Pirandello nella perdita dell’individualità e nelle maschere.
I rimandi sono così tanti e continui che risulterebbe impossibile essere esaustivi.
La famosa ‘novella in versi’ si conclude con la negazione e l’annullamento della propria identità da parte della voce narrante:
… ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico…
Quello che fingo d’essere e non sono!
È proprio questo il momento in cui i protagonisti evadono dai versi e si giunge ad una svolta drammaturgica.
Felicita muore e in un ‘Oltre’ che sembra essere un’ennesima e definitiva sospensione, incontra il suo amato, che l’aveva preceduta in quel viaggio senza ritorno. Lei è visibilmente invecchiata, con i capelli canuti e il viso ceruleo; lui, invece, morto anni prima, conserva le fattezze giovanili.
È intento ad acchiappare farfalle ed ha uno sguardo sognante.
Anche questa immagine non è casuale; l’insetto è una scelta ben precisa nella visione gozzaniana, ponte tra vita e morte, iniziale evasione dal presente, che si evolve, però, in una concezione più matura che riconduce al presente, all’immediatezza, alla vita.
La donna è adirata con lui; sostanzialmente non gli perdona di esser venuto meno alla sua promessa di ritorno, di aver spezzato, con l’inganno, l’aspettativa di un futuro roseo.
Quella che sarebbe potuta essere un’infinita comunione di anime è, a ben vedere, solo ‘L’amore pensato’, rimandato, inottenibile.
Lo scontro tra i due è incalzante, con toni derisori e sarcastici, finché lui, in qualche modo, svela il motivo reale della sua fuga nella malattia.
La paura, il freddo, l’insicurezza, il timore di sciupare un amore che invece, sublimato, rimarrà possibile in eterno.
Ed ecco arrivare, finalmente, l’abbraccio tra i due; il tocco, impossibile in vita, in quel limbo si cristallizza. Ulteriore paradosso di una vita che, alla fine, si concretizza solo nella morte, passando da un onirico verosimile ma irrealizzato ad una tangibilità concreta.
Le luci, a questo punto, sono opportunamente eteree, quasi asettiche.
In questa intensa rappresentazione, dalla regia impeccabile ed attenta, poesia e prosa si fondono in un connubio perfetto e si traducono in puro Teatro dove l’espressività è sia parola che presenza scenica, ulteriormente esaltati dalla grande abilità mimica dei due attori.
Ma, a ben riflettere, si tratta delle stesse cifre stilistiche che caratterizzano da sempre Lucia Stefanelli Cervelli, Artista versatile ed eclettica, che fa della multicodicalità il veicolo dell’intenzionalità, dell’integrazione di registri comunicativi ed espressivi diversi la massima espressione di polisemia.
Sul finale, un’ultima citazione di Toti Scialoja che verrà ripetuta anche dagli stessi attori dopo l’opera nel salutare il pubblico entusiasta:
In Paradiso non si danza ci si sorride a distanza.
Prossima replica di ‘Controcanto alla felicità’, che consigliamo vivamente a tutti gli estimatori della Letteratura, è per oggi, 2 aprile, ore 18:00 presso il Teatro Il Primo, Viale del Capricorno, 4, Napoli.
Foto di Rosario Ferro
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.