Il Carnevale Ambrosiano 2025 termina domani.
In Loggia Culinaria si va, cultori della bontà.
Vi siete divertiti? Avete accumulato un po’ di grasso?
Non solo chiacchiere dicevamo nel precedente articolo, e tra i dolci di Carnevale, molto gettonate sono pure le castagnole, come chiamate in Emilia o tortelli in Lombardia.
Documentate sin dal Rinascimento, sono anche queste il risultato di una lunga tradizione che affonda le sue radici nei tempi antichi, quando il fritto era simbolo di festa, speranza e opulenza.
Le citano anche il Cuoco Nascia nel 1684, a servizio dei Farnese e persino bel 1692 nelle ricette del Cuoco Latini, presso gli Angioini.
Sviluppate soprattutto appunto tra la Lombardia e l’Emilia, si sono diffuse in tutta Italia sempre con nomi diversi e si trovano vuoti, alla crema pasticciera o di nocciola e al cioccolato, marmellata o ricotta.
Ogni boccone una sorpresa.
Non solo chiacchiere dicevamo, ma pure travestimenti culinari, dunque, dove da semplici farine, zuccheri e uova nascono dei dolci che diventano simboli di trasgressione anche.
Cibi legati alla trasformazione, connessi a storie e leggende, a identificazione di elementi culturali e identità, e quindi anche maschere.
Sia la maschera che il cibo qui esprimono lo stesso messaggio di trasformazione e condivisione, di liberazione dalle convenzioni e abbattimento delle rigidità e schemi, la prima contrapponendosi alle gerarchie e alle usuali regole, la seconda in opposizione alla routine alimentare quotidiana e darsi alla ricchezza – inusuale – del grasso e del dolce.
La festa di fine ‘invernalità’, momento critico di passaggio alla primavera, dove la natura deve risvegliarsi, vede le maschere protagoniste che, in originario rito agreste propiziatorio di fertilità, rappresentavano esseri infernali, spiriti e defunti, ovvero le forze legate al sottosuolo che dovevano favorire la rinascita della terra e dei suoi frutti.
I fisici dicono che le lamie, dette volgarmente masche o in lingua gallica strie, sono delle visioni notturne che turbano le anime dei dormienti e provocano oppressione.
Gervasio di Tilbury
Il termine deriva da masca, che originariamente aveva il significato di morto, strega o spirito maligno, e che ha attinenze pure con ‘macchia’ e ‘marchio’, nella cristianità era associata al diavolo, il quale per corrompere l’uomo utilizzava, oltre alle promesse materiali, la sua peculiarità di trasmutazione estetica.
Peraltro è curioso considerare l’etimo di ‘persona’, intesa come individuo: seppur possa derivare da per se unum, c’è anche la seguente spiegazione legata proprio alla maschera: infatti le maschere di legno nei teatri dell’antica Grecia e d’Italia avevano le tipiche espressioni facciali marcate ed esagerate per essere meglio identificate dal pubblico ed erano fatte in modo da amplificare il suono della voce per essere più risonanti in teatri notoriamente di grandi dimensioni. Ecco, da questa caratteristica deriva per-sonar = risuonare attraverso.
Nell’articolo 376 dell’Editto di Rotari del 643 d.C., la masca è citata per la prima volta nella storia per affrontare le accuse di stregoneria o presunte attività malefiche.
Il termine, connesso a superstizioni diffuse tra la popolazione Longobarda, si riferisce a una figura – quasi esclusivamente femminile – ritenuta capace di compiere sortilegi o atti di magia. Ma, al contrario di ciò che si può dedurre, la legislazione longobarda tentava più che altro di regolamentare e mitigare l’abuso di tali credenze per scopi vendicativi o accusatori.
Nel XVI secolo in Italia con la Commedia dell’Arte le maschere, le cui sembianze e gestualità richiamavano le funzioni ludiche intente a divertire dei giullari medioevali, divennero un elemento distintivo del teatro popolare.
Ogni maschera rappresentava un personaggio tipico italiano, con caratteristiche, tratti somatici, psicologici e costumi specifici in versione comica e grottesca.
A ogni regione la propria: Arlecchino – Hellequin o Erlik Khan, diaboliche figure d’origini antichissime – e Brighella a Bergamo, Meneghino a Milano, Gianduja in Piemonte, Capitan Spaventa in Liguria, Zanni e Colombina a Venezia, Pantalone e Balanzone a Bologna, Stenterello e Scaramuccia in Toscana, Rugantino nel Lazio, Pulcinella a Napoli e infine Farinella in Puglia e Peppe Nappa in Sicilia.
Ma anche tanti piccoli centri ne hanno una propria locale, generata da tramandi ed evoluzioni irrintracciabili.
L’abito fa o non fa il monaco?
Pensiamo alla moda e all’industria del fashion di cui l’Italia è sempre stata apice.
Oltre al divertimento e gioco, le maschere avevano funzioni simboliche e sociali, perché incarnavano personalità e caratteristiche ben precise, valori, vizi e virtù, spesso rappresentando stereotipi: ad esempio, il servo furbo come Arlecchino o il borghese avaro come Pantalone oppure il napoletano Pulcinella, allegro e ‘cazzimmoso’, che alla fine riesce sempre a svicolare dalle situazioni beffeggiando i potenti.
Le maschere sono una fusione di elementi demoniaci e comici, rituali, teatrali e sociali che continuano a incarnare l’identità culturale e l’immaginario collettivo di molte regioni italiane e permettendo l’abolizione temporanea dei rapporti gerarchici e dell’autorità, faceva da provvisorio riequilibratore sociale, consentendo di satireggiare le classi dominanti o di esprimere opinioni senza il rischio di conseguenze come la forte connotazione anticlericale e ancora di riflesso alla ribellione popolare alla penitenza quaresimale.
Insomma, senza metterci la faccia era – ed è – facile dileggiare tutti. E così sconosciuto non dovrai prendere ordini da nessuno e temere nulla.
Un’isolante protettivo dagli altri, ma a pensarci bene anche dal proprio ego che la maschera dissolve in certi ambienti nell’eggregore tra i pari mascherati, consentendo l’inversione del proprio sguardo meditativo all’interno di sé.
Nessun uomo può, per un tempo considerevole, portare una faccia per sé e un’altra per la moltitudine, senza infine confonderle e non sapere più quale delle due sia la vera.
Nathaniel Hawthorne – La Lettera Scarlatta
A protezione o per inganno?
Indossarla modifica l’individualità raffigurata dal viso, elemento distintivo dell’esteriorità dell’involucro corporeo. La faccia è il più evidente hardware di diversi software, come sentimenti ed emozioni, le diverse etichette, momenti e situazioni necessarie e propedeutiche per stare al mondo, stratagemmi di sopravvivenza e di sicurezza.
Oltre che truccarsi fisicamente, psicologicamente ‘indossare una maschera’ è metafora che distingue i molti e diversi aspetti dei contesti quotidiani, essenza dei ruoli che interpretiamo, si voglia o no.
Pirandello nel 1926 scriveva ‘Uno, nessuno e centomila’ e ci poneva la consapevolezza di essere fisicamente uno, ma allo stesso tempo nessuno e centomila, di fronte a ogni paio di occhi estranei che ci guardano.
Qualcuno ti vede come timido, qualcun altro come logorroico e invadente, altri freddo e distaccato e altri ancora ti rilevano premuroso e gentile. La questione è che l’individuo che pensi di essere esiste solo per te, mentre il prossimo crea una versione diversa di te, ognuno di loro, e ci sono 100.000 là fuori nella mente della gente. Oggi gli account aumentano il conteggio.
Mi sono vergognato di me stesso quando ho capito che la vita è una festa in maschera ed io vi ho partecipato con la mia vera faccia.
Franz Kafka – La Metamorfosi
Oltre all’aspetto più goliardico, ne esistono di più primitivi, che si ritrovano in azioni guerriere antiche e in ancestrali riti religiosi funerari: il volto coperto consentiva il calarsi totalmente in un personaggio – vedi l’arte teatrale nel periodo dell’antica Grecia – o nell’interpretazione di una divinità – vedi sciamani e mistici – che, tramite il rito e il mascheramento, facilitavano l’abbandono metaforico del proprio corpo terreno, oppure nell’identificazione di particolari forze con iniziali totemismi animali -vedi i Berserkr – i terribili guerrieri nordici ricoperti di pelli d’orso.
Ma nel corso del tempo c’è stata un’evoluzione / inversione: la maschera in rappresentazione degli aspetti situati negli inferi, ha raffigurato il diverso nella contrapposizione duale dell’esistenza e nell’estremizzazione e allontanamento di aspetti invece complementari.
La demonizzazione ha avuto i suoi effetti nei confronti di maghi, eretici, alchimisti, astrologi che si discostavano da un certo tipo di ortodossia considerata ufficiale.
Ad esempio, la messa al rogo di intellettuali disallineati o di streghe – prima ritenute indemoniate e poi malate di mente – ha avuto un fortissimo effetto socio-politico di affermazione del modello imposto: il potere centralizzato, unificatore e uniformatore ha avviato un processo ‘normalizzatore’ e di standardizzazione.
Il significato di diversità fino a poco tempo fa, è stato sostituito a simbolo di conformità, la mascher|in|a, assolutamente obbligatoria, modificatore psicologico in modo invertito dove la percezione di tutti è uniformata, senza alcuna individualità, a partire dalla propria.
Davanti ti si sarebbe potuto parare chiunque dall’identità fittizia, senza poterlo riconoscere. Una raccomandazione, sperando non sia troppo tardi: se un dottore distinto vi invita e vi offre un contorno di fave con un buon Chianti…. fuggite via il più velocemente possibile!
La maschera non è per te, è per proteggere le persone a cui tieni.
Christopher Nolan, Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno
La dualità del significato ha ispirato fumetti e film, dando vita sia a supereroi ma anche a crudeli assassini. L’irriconoscibile costituisce una diversa individualità, delineando una nuova identità, che consente un differente comportamento e talvolta una diversa psiche, senza il peso della responsabilità e del giudizio personale e il pericolo delle conseguenze, lasciando libertà a quegli sfoghi del proprio Io interiore più nascosto, spesso perverso e disumano, col rischio di far perdere al mascherato ogni legame con la realtà.
Il camuffamento si imprimere maggiormente nella memoria di chi guarda e ne favorisce l’identificazione e le relative emozioni.
Mi accostai alla frontiera della morte, posi piede sulla soglia di Persefone, viaggiai attraverso tutti gli elementi e ritornai, vidi il sole a mezzanotte, scintillante di bianca luce, mi avvicinai agli dei del mondo supero e infero, e li adorai molto da vicino.
Apuleio – Metamorfosi
Nell’iniziazione si viene marchiati in modo indelebile e nel segno del divino si scorge l’asimmetria tra il mondo dei vivi e dei morti, e lo zoppo mascherato – velato cammina nei due mondi: col piede sinistro negli inferi, col destro nei superi, divenendo egli stesso punto di contatto e contemporaneamente somma dei due.
A scoperta prima e ricordo poi della parte infera e ctonia che ognuno in solitudine e silenzio deve attraversare.
E poi, posto dinnanzi allo specchio, devi vederti per la prima volta quel volto che non mostri mai al mondo, senza maschere, che impaurisce la maggioranza degli uomini, per incontrare l’autenticità del viaggio dentro quel riflesso, altrimenti, se diventi specchio di ciò che ti è stato fatto, rimani sterile schiavo nell’incompiutezza e della pura teatralità fine a sé stessa.
Chi è davvero capace di tale conoscenza di arrivare fino in fondo e tollerare la condizione di riconoscere la propria ombra e di sopportarne la sgradevolezza? Non è possibile non consentirle di essere.
Chi è capace di creare la fecondità del vuoto dentro di sé per attirarne le creatività del pieno?
Un Fratello che mi sta insegnando molto, in una sua tavola, tra le altre modalità, si faceva la seguente domanda:
La nostra maschera è bianca o nera? È forse a scacchi? Siamo ancora nella dualità o oltre?
Coprire il viso al morto è gesto automatico seppur non naturale, perciò la maschera o il cappuccio ha un chiaro riferimento ai morti, come abbiamo visto anche all’inizio dell’articolo precedente.
Ma l’Iniziato è rinato e sa comunicare con entrambi i mondi al fine di diventare Uno.
Essere e apparire, segreto e menzogna, verità e falsità?
La verità della forma è l’unica strada per eliminare l’inganno dell’apparenza.
Gualtiero Marchesi
Male è usarle sempre, nascondersi ininterrottamente, soprattutto inconsapevolmente, vivendo in una società carnevalizzata eternamente mascherata.
Noi macchine biologiche sappiamo riconoscere, classificare e usare con discernimento tutte le maschere che indossiamo? Sappiamo capire quando ne stiamo usando una, quando la cambiamo o quando ne buttiamo via qualcuna per sempre?
Le nostre maschere interne ci promettono e ci illudono, ci imbrogliano mostrandoci chi probabilmente non siamo. Ci mostra un mondo modificato da una lente costruita ad hoc che distorce ed obnubila la nostra realtà interiore, ci disallinea dalle nostre vere volontà e reali necessità, mostra ciò che è soltanto apparente, preconfezionato come cibo al supermercato, dallo stesso sapore, sempre uguale, piatto e falso.
Siamo davvero sinceri con noi stessi prima che con gli altri? Se no come facciamo a lavorare per levarci le maschere una ad una e avere il coraggio di guardarci dentro e indietro, riconoscendo gli errori?
Toglierle è un ritorno autentico alla vita con tutte le sue sfumature, colori ed emozioni. Un ritorno al sentire il flusso incessante dell’universo, il ritmo della vita, il cuore pulsante.
Come ogni ente parziale di questo mondo dotato di anima, intelletto e coscienza, così come l’ente universale, tende la sua molteplicità all’Uno che in sé possiede tutto: potenzialità potenziate e impotenziate potenzianti.
Siamo il risultato di un momentaneo equilibrio di forze costantemente in moto di polarità e tono, ma trovare il centro nella moltitudine di Io è l’arte dell’iniziato.
Che cos’è un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.
William Shakespeare – Romeo e Giulietta
L’umanità prima di consumare cose, si alimenta di simboli e, per essere assunti, cibi e bevande devono essere caricati di valore simbolico e nel processo di trasformazione – seppur subliminalmente – per diventare nutrimento devono essere ricodificati simbolicamente.
Tutto ciò è spiegabile forse nella interminabile ricerca di negazione del divenire – e paura della fine – che vede la scontata morte all’orizzonte e l’attestazione di contro la vita, in bilanciamento, nell’intuizione dell’eterno ciclo, dove nello stesso infinitesimale punto di ogni fine ecco che contemporaneamente tutto ricomincia in un nuovo inizio.
Per chi sta a Milano divertitevi fino a domani, dopodiché, al funerale della festa morta, tutto finirà e ci si dovrà specchiare antiteticamente nella caducità della vita terrena, nell’umiltà e nel pentimento della Quaresima, perdendo grasso – e qui non c’è camouflage culinario che tenga – alleggerendosi con minestrine di verdura, in focalizzazione dello spirito e dell’anima scarnata.
In attesa della festa della Divina Incarnazione, momento di incontro simbolico e concettuale tra l’umano e il divino, penitenziagite!
In preparazione anche della sobria abbondanza, della mesta esultanza, in composto entusiasmo, segno di riconoscimento dell’equilibrio e della felicità pasquale.
Il percorso dove ci porterà?
Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario
Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.