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Capitolo Grigio

Capitolo Grigio

Il Sapore del Silenzio: Manovre d’Ombra tra Nebbia e Metallo

Un viaggio sensoriale e interiore nel colore della sospensione, del mistero quotidiano e del pensiero profondo.

Nel vapore che sale lento da una pentola dimenticata, il grigio avvolge. È la pausa tra due respiri, il colore di ciò che non si dice ma che resta. Cucinare in grigio è arte dell’attesa, del dubbio, della sospensione. È l’infuso del pensiero, il sapore dell’introspezione.

Il Sapore della metà e del compromesso

Nel grigio non si muove, attende.
Non è buio, nemmeno giorno.
È nebbia che vela, che cerca di nascondere.
È opacità che ascolta.

Cucinare in grigio è accendere la mediazione,
è lasciare che il sapore emerga senza farsi vedere,
come un ricordo che affiora lentamente nel vapore di brodo.

Il grigio è un colore che, a prima vista, può sembrare privo di carattere, una semplice via di mezzo tra il bianco e il nero, ma a ben guardare non è banale, ma uno dei più complessi e affascinanti.

Non è un colore “puro”, non ha una posizione precisa nello spettro visibile della luce come il rosso o il blu: nasce dalla mescolanza, dall’equilibrio instabile di luce e ombra, di presenza e assenza. E proprio per questo porta in sé un messaggio di profondità, ambiguità e riflessione.

Nel mondo fisico, il grigio è spesso ciò che resta quando la saturazione si ritira, quando i toni si smorzano e la realtà si avvolge in una nebbia che attenua i contorni. Lo si trova nelle giornate nuvolose, nel metallo, nella pietra, nel fumo: elementi solidi, antichi, naturali, ma anche legati al moderno, al freddo industriale, alla tecnologia.

In un paesaggio urbano, è la tinta dominante, ed è curioso come questa tonalità così neutra riesca a trasmettere sensazioni contrastanti: può rassicurare con la sua compostezza, oppure opprimere con la sua monotonia.

Dal punto di vista simbolico, il grigio è lo spazio del dubbio e della transizione. Dove il bianco rappresenta la purezza e la chiarezza, e il nero il mistero e l’occulto, il grigio abita l’interstizio, il confine indefinito. È il colore del compromesso, ma anche della sospensione del giudizio.

Filosoficamente, è la tonalità del pensiero critico, della riflessione che non si ferma agli estremi ma esplora le sfumature. Esotericamente, è il velo tra i mondi, lo spazio tra il visibile e l’invisibile, il colore dell’iniziazione, dove nulla è ancora definito ma tutto è in potenza.

In alchimia, è piombo, è gravità. È il colore della cenere – anche come residuo della purificazione – da cui si parte e alle quali si ritorna. È riflessione, pausa, sospensione, dell’attesa neutra di transizione: tra vita e morte, tra veglia e sonno, tra certezza e caso. È Mercurio, Cancro, è Chokhmah (saggezza primordiale).

Viviamo in un tempo che idolatra il bianco e il nero, i giudizi netti, le posizioni forti. Ma la verità, spesso, si nasconde nel grigio. Nel cercare bilanciamento.

Il grigio non indecisione, insegna a non saltare alle conclusioni, a soffermarci un po’ nel dubbio, a rispettare la complessità. È il colore del pensiero dialettico, del discutibile fertile, dell’opportunità. Per fare spazio dentro, tra due mondi, nelle sfumature nelle cose.

Anche in psicologia il grigio ha una doppia valenza: da una parte può esprimere calma, equilibrio, distacco emotivo, maturità; dall’altra può evocare depressione, stanchezza, apatia.

Chi si veste di grigio, ad esempio, può voler passare inosservato, proteggersi, ma anche comunicare una certa sobrietà, una forza interiore che non ha bisogno di ostentazione. È il colore delle persone che riflettono, degli osservatori silenziosi, dei diplomatici.

Il grigio ha un ruolo metaforico potentissimo: pensiamo al principio di sovrapposizione: una particella può trovarsi in più stati contemporaneamente finché non viene osservata.

Questo stato intermedio, dove tutte le possibilità esistono ma nessuna è ancora concreta, è un “grigio quantistico”, uno spazio liminale dove la realtà non è né questa né quella.

Come il gatto di Schrödinger, né vivo né morto, ma entrambe le cose insieme. Il grigio, dunque, non è solo il compromesso tra gli imperativi opposti, ma l’interezza degli opposti, il contenitore di ogni possibilità.

E c’è una presenza silenziosa del grigio anche in cucina. Pensiamo a certi piatti che sfuggono ai canoni cromatici della cucina visiva – il risotto al nero di seppia che si stempera nel grigio una volta mantecato, le vellutate di funghi, certe pietanze tradizionali che raccontano la terra, il sottobosco, l’umido. Il grigio, qui, diventa il colore della profondità del sapore, dell’umami, dell’inverno.

È meno appariscente del rosso di un ragù o del verde brillante di un pesto, ma non per questo meno intenso. Esprime una cucina di memoria, di raccoglimento, a volte anche di guarigione.

Alla fine, il grigio è il colore dell’intervallo, del non-detto, dell’attesa. In un mondo che ama gli estremi, le certezze nette, i colori forti e le opinioni gridate, il grigio è resistenza. È il tempo della nebbia che costringe a rallentare, ad ascoltare, a sentire davvero.

È il silenzio pieno di significato tra due parole, la sfumatura che salva dal giudizio assoluto. È l’arte della complessità. E in questa complessità, si rivela forse la sua verità più profonda: che nulla è mai completamente bianco o nero, e che proprio lì, dove le certezze sfumano, inizia la vera conoscenza.

Il grigio non è assenza di colore, è presenza di tutti i chiaroscuri del reale. Cucinare in grigio è ricordare che la vita vera accade spesso nelle mezze luci, lì dove nessuno guarda, ma tutto si rivela.

Un hummus di lenticchie beluga con sesamo nero? Un purè di topinambur con pepe affumicato? Una crema di cavolfiore e mandorle. Piatti che raccontano vie di mezzo e intersezioni.

Perfetti per cene d’inverno, momenti introspettivi, o meditazioni gastronomiche. Trovato! In Cucina non sottovalutiamo l’estetica dei piatti grigi, quando il grigio è bellezza sottile, la ricetta simbolica del grigio qual è?

Ricetta Simbolica: Risotto alle Ombre!

Il grigio prende forma ed è pronto per essere assaporato. Un piatto che cammina sull’interstizio: la porcinità del fungo, l’incorporeo dell’argento alimentare, ponte sottile tra corpo e sogno, il mistero nel pepe che pizzica senza preavviso. Il riso, bianco di partenza, diventa grigio nell’incontro col tempo e l’accenno d’ombra.

Ingredienti per 2 anime introspettive

160g di riso Carnaroli, 200g di funghi misti, porcini secchi e freschi, brodo vegetale caldo,quanto basta, scalogno, un cucchiaio di olio evo, una noce di burro, mezzo bicchiere di vino bianco secco, pepe nero macinato fresco, un pizzico di noce moscata, polvere d’argento alimentare, opzionale, ma magica, da assaporare in silenzio e a luce soffusa.

Preparazione rituale

Lasciare i porcini secchi in infusione in acqua tiepida per 20 minuti. Nel frattempo, affettare i funghi freschi. In una casseruola, scaldare l’olio e far sudare lo scalogno tritato, lentamente, come se si stesse aspettando una risposta dall’universo.

Aggiungere i funghi, stufarli fino a far rilasciare la loro essenza più nascosta. Versare il riso dopo averlo tostato a secco: è il momento in cui l’intenzione incontra la materia. Sfumare con il vino bianco e lasciare evaporare tutto ciò che non serve più.

Iniziare ad aggiungere il brodo, mestolo dopo mestolo, senza fretta, rimescolando con gentilezza. Ogni movimento una meditazione, ogni odore un messaggio.

Dopo 16 – 18 minuti, mantecare con il burro, aggiungere il pepe nero, noce moscata, e già nel piatto una spruzzata di polvere d’argento.

Era una giornata fredda d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi.
[…] Il cielo era grigio come il cemento dei palazzi del Partito.
George Orwell – 1984

Come non menzionare, infine, almeno alcuni ultimi riferimenti circa questo colore?

Nell’antica Roma mentre i patrizi indossavano toghe bianche (candida) o porpora, la plebe utilizzava tessuti grigi, tinti con coloranti vegetali economici. Il grigio divenne simbolo di umiltà, contrapposto al lusso delle élite.

Così i monaci cistercensi, seguaci di Bernardo di Chiaravalle, indossavano abiti di lana grigio chiaro non tinta, in segno di povertà e distacco dal mondo:

Il colore delle nostre vesti sia quello naturale della lana, per ricordarci la semplicità della creazione.

Leonardo da Vinci usò il grigio nello sfumato, tecnica che crea profondità attraverso gradazioni di luce e ombra. Nell’Ottocento, il grigio divenne il colore dello smog, delle ciminiere e delle città invase dal carbone e più recentemente dal cemento.

Charles Dickens descrisse Londra come “una coperta grigia di fuliggine”, trasformando il grigio in metafora del progresso disumano. Nel romanzo di Oscar Wilde, 1890, il ritratto grigio di Dorian invecchia e si corrompe, mentre lui resta giovane. Il grigio qui è l’accumulo dei peccati, una tela che assorbe la decadenza morale, contrapposta alla bellezza superficiale.

Kandinskij lo definì “silenzio senza possibilità”, un colore che “non vuole né disturbare né eccitare”. Nella geopolitica contemporanea, la zona grigia descrive azioni militari ambigue.

Vedo davvero il cibo come qualcosa di soggettivo. È uno sbocco creativo, un divertimento. È una zona grigia: non è bianco o nero, giusto o sbagliato.
Graham Elliot

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.