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COP26


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Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.
Andy Warhol 

A Glasgow per agire subito: un appello del mondo, un grido che proviene dagli abitanti più giovani di questo pianeta ai potenti, ai governatori di questo e di quel Paese.

Sono bastate poche ore per capire che la strada per ottenere un accordo che consenta di azzerare le emissioni nel 2050 è in salita. Sembra la consueta passerella che serve a prendere tempo e a raccontare alla gente comune che si faranno azioni e ci saranno interventi mirati.

E per molti, non solo per la oramai enfatizzata Greta Thunberg, futuro premio Nobel, è il solito bla, bla, bla…

Le conferme arrivano e ci devono allarmare: cattive notizie da Pechino, dove autostrade e parchi giochi delle scuole sono stati chiusi a causa del forte inquinamento, mentre la Cina, principale inquinatore al mondo, ha incrementato, nei giorni scorsi, la produzione di carbone.

Anche altri stati continuano a non prendere provvedimenti: questa volta accompagnata da Stati Uniti e Australia, non ha firmato l’accordo per lo stop alla produzione di energia dal carbone, siglato da 47 Stati e altre organizzazioni e istituzioni finanziarie, e non hanno presentato neppure nuovi impegni, come hanno fatto altri 23 Stati.

Facciamo un passo indietro, parlando della COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021. Da quasi tre decenni l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi della terra per i vertici globali sul clima – chiamati COP – ovvero Conferenza delle Parti.

Da allora il cambiamento climatico è passato dall’essere una questione marginale a diventare una priorità globale. Quest’anno si sta tenendo il 26eismo vertice annuale, di qui il nome COP26, presieduto dal Regno Unito che lo sta ospitando a Glasgow.

I leader mondiali giunti in Scozia sono più di 190. Ad essi si sono uniti decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di Governo, imprese e cittadini per dodici giorni di negoziati.

Una delle più importanti COP, la 21a, si tenne a Parigi nel 2015: tutti i Paesi gradirono la situazione e accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Inoltre, s’impegnarono ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere questi obiettivi. Ecco che nasceva l’Accordo di Parigi.

L’intento di puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi è importante perché ogni decimale di grado di riscaldamento causerà la perdita di molte altre vite umane e altri danni ai nostri mezzi di sussistenza.

Nel quadro dell’Accordo di Parigi ciascun Paese si è impegnato a creare un piano nazionale indicante la misura della riduzione delle proprie emissioni, detto Nationally Determined Contribution, NDC, o Contributo determinato a livello nazionale.

I Paesi concordarono che ogni cinque anni avrebbero presentato un piano aggiornato, che rifletteva la loro massima ambizione possibile in quel momento. Gli impegni presi nella capitale francese non sono neanche vagamente sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, e la finestra utile per il raggiungimento di questo obiettivo si sta chiudendo. Il decennio fino al 2030 sarà cruciale.

Quindi, per quanto il vertice di Parigi sia stato un evento epocale, i Paesi dovranno spingersi ben oltre quanto fatto in quello storico summit per mantenere viva la speranza di contenere l’aumento della temperatura a 1,5.

La COP26 dovrebbe essere decisiva. La speranza è che l’uomo possa sviluppare la sua civiltà integrandola non sostituendola – né in tutto né in parte – alla vita del mondo naturale, che deve continuare a funzionare secondo le sue regole spontanee.

In particolare, lo sviluppo numerico e tecnico della specie umana verrebbe ad essere correlato alle capacità del mondo naturale nell’insieme e regione per regione.

Affinché il rapporto Uomo – Terra scopra finalmente il suo giusto equilibrio occorre anzitutto sapere com’è fatto il primo e come è fatta ‘Gea’ in greco antico, di cui gran parte della popolazione non conosce ancora tutte le proprietà. L’unico valido rapporto Uomo – Terra è possibile soltanto se tutto il comparto delle risorse primarie del pianeta sarà sottratto all’utilizzo per profitto come avviene oggi.

Ricordiamoci che il periodo 2011 – 2020 è stato il decennio più caldo mai registrato, con una temperatura media globale di 1,1ºC al di sopra dei livelli preindustriali nel 2019. Il riscaldamento globale indotto dall’uomo è attualmente in aumento ad un ritmo di 0,2ºC per decennio. Un aumento di 2ºC rispetto alla temperatura dell’epoca preindustriale è associato a gravi impatti negativi sull’ambiente naturale e sulla salute e il benessere umani, compreso un rischio molto più elevato di cambiamenti pericolosi e potenzialmente catastrofici nell’ambiente globale.

Ecco il motivo per il quale la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei 2ºC e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC.

Non è un caso che gli esperti del clima abbiano da tempo abbandonato il termine “crisi climatica” per passare al più allarmistico “emergenza climatica”. Questo incremento è di per sé allarmante, ma le previsioni, nonostante dagli anni Novanta ad oggi sia aumentata l’attenzione per l’ambiente, almeno in Occidente, sono ancor più spaventose.

Questa valutazione si basa sulle serie di dati osservati utilizzate per valutare il riscaldamento avvenuto nel passato, osservazioni che, negli ultimi anni, hanno potuto contare su un grande miglioramento dei metodi di raccolta e, soprattutto, dei modelli elaborati per le previsioni e risultano, perciò, ancor più attendibili, soprattutto nell’ambito della valutazione delle risposte del sistema climatico alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane.

L’aumento di temperatura, che proprio in questi mesi si sta percependo nell’emisfero boreale e che sta portando devastazioni con gli incendi o le alluvioni, tuttavia non non è l’unico elemento in gioco.

I cambiamenti climatici trascineranno mutamenti nei valori dell’umidità, nei venti, nella neve e nel ghiaccio, nelle aree costiere e negli oceani. Abbiamo già visto gli effetti del cambio climatico sul ciclo dell’acqua, che ha portato, in alcune regioni, piogge più intense e inondazioni ad esse associate, in molte altre siccità estreme.

Il conseguente innalzamento del livello del mare, che caratterizzerà tutto il XXI secolo, porterà ad inondazioni costiere più frequenti e gravi nelle aree basse rispetto al livello del mare e all’erosione delle coste. Eventi estremi riferiti al livello del mare, che prima si verificavano una volta ogni 100 anni, hanno avvertito gli scienziati ed entro la fine di questo secolo potrebbero verificarsi ogni anno.

Non andrà meglio nelle aree interne, dove un ulteriore riscaldamento intensificherà lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, lo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare e la perdita del ghiaccio marino artico estivo.

La situazione climatica richiede uno sforzo molto ambizioso. È per questo che la COP26 riveste un ruolo molto più grande di una semplice conferenza che serve per rafforzare le basi per il raggiungimento della neutralità climatica entro la metà di questo secolo ed evitare cambiamenti irreversibili, inclusa la perdita di interi ecosistemi vitali.

I problemi sono enormi, mentre i segnali ormai inequivocabili che non si sta andando nella giusta direzione, si moltiplicano. Ma molti leader mondiali sembrano affrontare i negoziati sul clima come una contesa geopolitica: non solo una sana competizione per la leadership nella transizione verde, ma un ostruzionismo che porta allo svuotamento del metodo multilaterale, l’unico in grado di risolvere un problema globale che, per la sua natura, richiede la partecipazione di tutti. È un valzer che somiglia ad un requiem. In attesa va in onda il consueto bla, bla, bla… umpa… bla bla umpa.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.