C’erano una volta le case normali. Quelle con le lavatrici che facevano rumore, i frigoriferi che raffreddavano in silenzio, le bilance che pesavano e, nel peggiore dei casi, mentivano a fin di bene.
Oggi invece siamo entrati in un’epoca nuova, dove tutto è smart.
La lavatrice è connessa al Wi-Fi, ti manda notifiche mentre sei al supermercato, ti suggerisce cicli e detersivi come se fosse laureata in chimica industriale. Il frigorifero ha una fotocamera interna, sa cosa contiene, sa quanto manca alla scadenza delle uova e, se lo lasci fare, ti consiglia anche la cena. A volte, più che un elettrodomestico, sembra un dietologo passivo – aggressivo.
All’inizio ci sembrava comodo, utile, perfino divertente.
Poi, con il tempo, capisci. Capisci che non sei tu a usare questi oggetti, ma che sono loro ad usare te.
Perché ogni gesto, ogni apertura di sportello, ogni carico di bucato, ogni etichetta scansionata, è un dato. E quei dati non restano lì, non svaniscono nel nulla. Vengono raccolti, archiviati, elaborati, venduti. Tu stai solo cucinando, ma qualcuno ti sta studiando.
E poi arriva lei. La bilancia. Non più quel vecchio oggetto sgraziato nascosto sotto il mobile del bagno, ma un elegante strumento digitale, ultrapiatto, in grado di comunicare con lo smartphone.
Salirci sopra è come accedere a un confessionale. Non si limita a dirti quanto pesi. Ti misura, ti analizza, ti dice quanta acqua hai, quanto grasso e dove, quanto muscolo, quanto osso, e quanto sei fuori standard rispetto a un algoritmo che evidentemente non conosce né la pizza né la vita reale.
Ma non finisce lì.
Quei dati se li manda a una app, che poi li sincronizza con il cloud, che poi li confronta con quelli delle tue abitudini alimentari, con quelli del frigorifero, con quelli del contapassi, con quelli della carta fedeltà del supermercato.
E, all’improvviso, tu non sei più una persona. Sei un profilo. Un segmento di mercato. Uno che tende a mangiare troppo il martedì sera e a bere poco nel weekend. Uno a cui proporre corsi detox o frullatori iperproteici. Uno che ha bisogno di migliorarsi, secondo loro. E, possibilmente, comprando qualcosa.
Ecco il punto. Non è una questione di tecnologia, ma di equilibrio.
Perché va benissimo avere la casa intelligente. Va benissimo se la lavatrice ti aiuta, se il frigo ti ricorda la scadenza del latte. Ma se a decidere cosa cucinare è un algoritmo, se la tua bilancia conosce più dettagli del tuo medico di famiglia, e se il tuo frigorifero sa più cose di te di quanto ne sappia tua madre, allora forse è il caso di fermarsi un attimo.
Nessuno ci ha imposto tutto questo.
Siamo stati noi, per comodità, per moda, per distrazione. Abbiamo accolto nelle nostre case oggetti che parlano, osservano, ascoltano. Abbiamo dato loro accesso ai nostri ritmi, alle nostre abitudini, ai nostri vizi. Abbiamo ceduto il controllo in cambio di qualche secondo risparmiato.
E ora? Ora si può anche continuare così, certo. Ma con un po’ più di consapevolezza. Sapendo che ogni comodità ha un prezzo. E che se qualcosa è gratis, probabilmente il prodotto siamo noi.
Non serve essere esperti. Basta porsi una domanda semplice.
Questa cosa che ho in casa mi aiuta o mi studia?
Perché una casa intelligente può essere una grande alleata. Ma solo se siamo noi a restare quelli che comandano.
E quando il frigorifero inizia a sapere troppo, forse non è un aggiornamento quello che serve. È una bella spina staccata. E un momento di silenzio per ricordarci chi siamo, anche senza app.
Autore Gianni Dell'Aiuto
Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.













