Armi senza istruzioni per l’uso né licenza e genitori con figli armati

    figlio armato

    Un genitore saggio non darebbe mai una pistola carica a suo figlio. Perché allora gli mette in mano uno smartphone?

    Ma lo smartphone non è pericoloso, si potrebbe rispondere. Sicuri?

    Bambino uccide la sorellina con la pistola del padre. Adolescente fa strage a scuola con i fucili di famiglia. Notizie come questa fanno il giro del mondo, scuotono le coscienze e riaccendono il dibattito sulla sicurezza domestica.

    Ma se pensiamo che il pericolo sia confinato a un oggetto fisico, ci stiamo illudendo. Oggi, le vere “armi” sono nelle nostre tasche, sui nostri schermi, e spesso le mettiamo direttamente nelle mani dei nostri figli senza pensarci due volte.

    Internet, l’intelligenza artificiale e i social media sono strumenti potentissimi. Come una pistola, possono essere usati per difendersi o per ferire, per costruire o distruggere. Ma a differenza delle armi da fuoco, non esiste un “porto d’armi” per accedere a queste tecnologie. Nessuna licenza, nessuna formazione obbligatoria. Tutto è disponibile, subito, per chiunque, indipendentemente dall’età o dalla maturità.

    E qui il paragone diventa inquietante.

    Se lasciamo una pistola carica su un tavolo, sappiamo tutti che può finire in mani sbagliate. Ma quando consegniamo uno smartphone a un bambino di dieci anni, ci fermiamo mai a pensare che potrebbe essere altrettanto pericoloso?

    Forse anche di più.

    Perché la pistola si vede, si tocca, si teme. Il pericolo digitale, invece, è invisibile, subdolo, e spesso si traveste da innocuo passatempo.

    Ma quante storie di suicidi, cyberbullismo, violenza, foto rubate e rivendute, conversazioni in mano a chissà e quant’altro possibile, previsto dal Codice penale, troviamo in rete?

    Ma possiamo andare oltre e parlare di chi espone i propri figli come bersagli del popolo della rete.

    Padri e figli che si filmano insieme su TikTok, famiglie intere che documentano ogni momento della propria vita su Instagram, mamme che giocano a fare le influencer con le figlie. Sembra tutto innocente, persino tenero.

    Ma fermiamoci un attimo.

    Non ci stiamo forse dimenticando di chiederci cosa succederà dopo? I bambini che oggi raccolgono like e follower, domani dovranno fare i conti con un’identità digitale che non hanno scelto consapevolmente.

    Magari si spera che qualcuno diventi famoso; una star del web. Ma, a parte chiedersi se sia una scelta consapevole, ci chiediamo cosa potrebbe accadere domani?

    La storia ci offre già delle lezioni e non sono paragoni impossibili. Anzi. Shirley Temple, la celebre Ricciolo d’Oro, attrice prodigio degli anni 30, ha gestito il successo da bambina con grazia, ma Jacky Coogan, il piccolo protagonista de ‘Il monello’ di Charlie Chaplin, e Macaulay Culkin, il volto di ‘Mamma ho perso l’aereo’, no.

    E loro erano solo esposti “solo” ai riflettori di Hollywood, non a quelli incessanti e globali dei social media e di un popolo fatto di miliardi di persone di cui non puoi immaginarti la reazione.

    Oggi, il palcoscenico è ovunque e sempre acceso, e la pressione di essere costantemente “online” può diventare insostenibile. E domani cosa potrebbe pensare quel bambino i cui video restano per sempre in rete?

    Non è una crociata contro la tecnologia. Internet e i social possono essere strumenti meravigliosi, se usati con consapevolezza. Ma, come ogni arma potente, richiedono istruzioni per l’uso e una buona dose di cervello. Serve educazione digitale, serve una guida. E serve anche il coraggio di dire no, di mettere dei limiti.

    Non lasceremmo mai che un bambino guidasse un’auto senza prima aver imparato le regole della strada. Perché allora siamo così pronti a lasciarli navigare nel mare sconfinato del web senza bussola?

    Proteggere i nostri figli non significa isolarli dalla tecnologia, ma insegnare loro a usarla con giudizio. La conoscenza è la loro migliore difesa. Perché, alla fine, il vero pericolo non è la tecnologia in sé, ma l’ignoranza di chi la usa senza sapere cosa ha tra le mani.

    Autore Gianni Dell'Aiuto

    Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.