Le origini del concetto di fato nell’esperienza umana affondano le radici in antiche tradizioni mitologiche, filosofiche e religiose, che hanno cercato di dare senso alla vita e agli eventi che sfuggono al proprio controllo.
Non a caso, il termine fatum collegato al verbo fari – dire, parlare, pronunciare – indicava ciò che fosse “pronunciato” o “determinato” da forze superiori, come divinità o poteri cosmici.
L’etimologia del termine, quindi, rimanda alla concezione di un qualcosa che “è detto” e che non può essere evitato, connotando il fato di simbolica ed esclusiva appartenenza all’operatività divina.
La predestinazione, concetto legato al determinismo razionale dell’universo, formulata nel mondo antico dagli Stoici, sosteneva che la fonte di ogni accadimento fosse la necessità, regolata e plasmata dall’ordine universale del Logos.
Per gli Stoici, tale principio razionale era presente in ogni aspetto della natura e dell’esistenza ed in ciò si stabiliva il destino di ogni cosa.
L’individuo idealizzato come parte di un tutto, era, dunque, inserito in un ordine cosmico non modificabile e in quanto “predestinato” a vivere secondo le leggi della natura e secondo il Logos non disponeva di mezzi tali da potersi opporre ad un simile andamento di avvenimenti.
Tuttavia, la predeterminazione, intesa nell’accezione stoica, non implicava una rigida limitazione all’agire umano, quanto piuttosto un allineamento armonioso con le leggi naturali e il raziocinio universale.
Tale concetto conobbe profonda approvazione nella cultura cristiana. Una delle prime teologie sistematiche sulla predestinazione fu quella di Sant’Agostino, il quale affrontò la questione della salvezza e della grazia divina in risposta alle controversie con i pelagiani, che sostenevano si potesse raggiungere la salvezza attraverso le proprie forze.
Il filosofo di Tegaste negava ardentemente che l’espiazione dipendesse dai meriti individuali, affermando che la sola grazia divina potesse condurre taluni alla salvezza ed altri alla dannazione.
Ciò non implicava l’ammissione di ingiustizia divina quanto il riconoscimento di un governo degli dei guidato da rettitudine ed equità. Tutto ciò perché, secondo il Doctor Gratiae, il peccato originale aveva reso le persone incapaci di scegliere il bene senza l’intervento di un’entità superiore.
Nel corso dei secoli, però, l’idea della predestinazione ha cominciato ad entrare in conflitto con la sempre maggiore valorizzazione dell’individuo e della sua capacità di autodeterminarsi.
Con la crescente enfasi sul libero arbitrio, l’uomo ha cominciato ad essere visto sempre più come razionale e responsabile, in grado di determinare il proprio cammino nella vita attraverso azioni, decisioni e sforzi.
L’idea che egli stesso possa plasmare il proprio destino diventa, così, un tema centrale della filosofia umanista, la quale sostiene che l’uomo, a differenza di altre creature, fosse in grado di decidere le proprie sorti, divenendo, in tal modo, l’artefice del futuro attraverso la ragione, l’azione e la scelta.
Nel tempo, il concetto di homo faber assume centralità e si potenzia.
Per Nietzsche, ad esempio, l’uomo non è più semplice artigiano che costruisce il proprio destino seguendo determinati principi razionali o morali, ma vero e proprio creatore della sua stessa esistenza attraverso un continuo processo di autocreazione e trasformazione in un ciclico fluire di eventi: l’eterno ritorno.
L’azione individuale capace di realizzare e costruire vita tramite il libero arbitrio, conferito al singolo dalla natura umana, agisce in un contesto evolutivo di eventi ben definito e fissato per ognuno.
Tale visione, però, esclude una connotazione negativa dell’indipendenza di questi eventi, rinvenendo nell’eterno ritorno un’opportunità di riscatto e sfida, amandolo.
L’amor fati, “amore del destino”, non è passiva accettazione della vita, ma una celebrazione della propria esistenza e della vita stessa. Nietzsche lo collega alla sua idea dell’eterno ritorno, la concezione che ogni cosa nella vita si ripeta in un ciclo infinito, ed invita l’individuo ad amarla e desiderarla senza riserve. In questo contesto, l’amor fati diventa una forma di tenace resistenza e forza.
L’individuo abbracciando ogni evento, anche doloroso, come parte di un destino che si autorealizza, intraprende, in maniera attiva, il proprio cammino di crescita personale essenziale per la propria evoluzione.
L’interpretazione di un siffatto sistema di cose induce, anche ai nostri giorni, alla profonda riflessione sulla necessità di una vita autentica, improntata all’azione ed al dinamismo, combattendo gli eventi in maniera attiva animati da approccio positivo dinnanzi a ciò che non sia direttamente controllabile.
Lo stato più alto che un filosofo possa raggiungere è la posizione dionisiaca verso l’esistenza: la mia formula perciò è amor fati. A tal fine occorre comprendere i lati finora negati dell’esistenza non solo come necessari bensì come desiderabili… per sé stessi come i lati più fecondi, più potenti, più veri dell’esistenza, in cui la volontà di essi si esprime più chiaramente […]
Ho scoperto come un altro e più forte tipo d’uomo debba necessariamente escogitare l’innalzamento e il potenziamento dell’uomo in un’altra direzione: esseri superiori, al di là del bene e del male… la mia formula per la grandezza dell’uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità.
Friedrich Wilhelm Nietzsche

Autore Pina Ciccarelli
Pina Ciccarelli, maturità Classica e Laurea in Giurisprudenza. Appassionata di Storia, Filosofia, Letteratura e Musica. La scrittura nasce dell'evasione, dal desiderio di donare colore alla vita, catartico abbandono all'immaginazione. Tra i sentieri nascosti del sublime, fuori dalle logiche del reale, per scoprire se stessi.