L’ipnosi, termine che deriva dal greco hypno, sonno, è una pratica che affonda le sue radici in tempi antichi, ma che nel corso dei secoli ha assunto significati e funzioni diverse, evolvendosi da rituale mistico a strumento scientifico a fenomeno che si intreccia con la società, l’economia, la politica e la cultura contemporanea.
Iniziamo col definire cosa sia l’ipnosi: in senso tecnico, è uno stato alterato di coscienza caratterizzato da un’attenzione focalizzata, una maggiore suggestionabilità e una riduzione della consapevolezza periferica, spesso indotto da un operatore, l’ipnotista, attraverso tecniche verbali, gestuali o ambientali.
Non è sonno, contrariamente a quanto il nome suggerisce, ma una condizione di profonda concentrazione in cui la mente diventa più ricettiva a stimoli specifici, permettendo di accedere a parti dell’inconscio che, in stato di veglia, rimangono nascoste.
Si tratta di uno stato studiato da medici, psicologi e neuroscienziati, che ne hanno esplorato le applicazioni terapeutiche, come il trattamento dell’ansia, delle fobie, del dolore cronico e persino delle dipendenze, ma non si limita al campo clinico: il suo fascino e la sua ambiguità l’hanno resa un simbolo culturale e un oggetto di speculazione in ambiti che vanno oltre la medicina, toccando questioni sociali, economiche e politiche che nel 2025 risultano molto rilevanti.
Storicamente, ha avuto momenti di gloria e di scetticismo: pensiamo a Franz Anton Mesmer nel XVIII secolo, che con il suo ‘magnetismo animale’ gettò le basi per quella che poi sarebbe diventata l’ipnosi moderna, o a James Braid, il medico scozzese che nel XIX secolo la ridefinì in termini scientifici, distinguendola dalle suggestioni mistiche.
Da allora, l’ipnosi è passata attraverso fasi di accettazione e rifiuto, fino a trovare una collocazione stabile nella psicologia moderna, ma il suo significato non è mai stato univoco.
È una tecnica, certo, ma anche una metafora: rappresenta il potere della mente, la manipolazione, il controllo e, in un certo senso, la vulnerabilità umana.
Questo dualismo tra scienza e mistero è ciò che la rende così affascinante e, al tempo stesso, così controversa nella nostra epoca.
Dal punto di vista sociologico, oggi si intreccia con il modo in cui le società contemporanee affrontano il bisogno di controllo e la ricerca di significato in un mondo sempre più caotico.
Infatti, viviamo in un’era di iperconnessione, dove le informazioni ci bombardano costantemente e la nostra attenzione è frammentata tra schermi, notifiche e stimoli incessanti.
In questo contesto, può essere vista come una risposta al desiderio di fermarsi, di ritrovare un focus, di affidarsi a qualcosa o qualcuno che ci guidi fuori dal rumore.
Non è un caso che negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia del 2020, si sia registrato un aumento dell’interesse per pratiche come la meditazione guidata, l’autoipnosi e le terapie basate sulla mindfulness, tutte forme che condividono con l’ipnosi l’obiettivo di riportare l’individuo a uno stato di calma e introspezione.
Sociologicamente, riflette una crisi che dagli esperti viene definita di agency: le persone si sentono sempre meno padrone del proprio destino, schiacciate da strutture sociali, economiche e politiche, percepite come opprimenti e incontrollabili.
L’ipnosi, in tale accezione, diventa una sorta di rifugio, un modo per riconquistare un senso di sé attraverso la resa temporanea a un’autorità esterna, che sia un terapeuta, un’app di meditazione o persino un influencer che promette ‘trasformazioni’ attraverso tecniche suggestive.
Ma c’è un lato oscuro: l’ipnosi richiama anche il tema della manipolazione sociale.
Pensiamo ai media, alla pubblicità, ai social network: non sono forse forme di ipnosi collettiva?
Algoritmi che catturano la nostra attenzione, narrazioni che plasmano le nostre opinioni, slogan che si insinuano nella nostra mente come suggestioni ipnotiche.
Autori come Herbert Marcuse, nella sua critica alla società tecnologica, avevano già intravisto questa dinamica, parlando di una ‘repressione subliminale’ che massifica i comportamenti attraverso stimoli costanti e impercettibili.
Oggi, nell’era dei big data e dell’intelligenza artificiale, questa idea assume una nuova concretezza: le piattaforme digitali non solo ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, ma usano tale conoscenza per indurci a pensare, consumare e agire in modi prestabiliti, una sorta di ipnosi tecnologica che sfuma i confini tra scelta individuale e condizionamento collettivo.
Passando all’aspetto economico, l’ipnosi si inserisce in un mercato globale che capitalizza sul benessere e sull’automiglioramento, due industrie in continua espansione.
Nel 2025, il settore del wellness vale centinaia di miliardi di dollari e l’ipnosi ne è una componente significativa, sia come pratica terapeutica che come prodotto commerciale.
Cliniche private offrono sedute di ipnoterapia per smettere di fumare, perdere peso o gestire lo stress, spesso a prezzi elevati, abbordabili solo per chi può permetterselo, il che solleva questioni di disuguaglianza nell’accesso alla salute mentale.
Allo stesso tempo, è diventata un fenomeno di massa grazie alla democratizzazione digitale: app come Calm, Headspace o HypnoBox permettono a chiunque, con pochi dollari al mese, di sperimentare forme di autoipnosi o meditazioni guidate che promettono di ‘riprogrammare’ la mente.
Questo boom economico non è privo di contraddizioni: da un lato, riflette una domanda genuina di strumenti per affrontare un mondo sempre più stressante; dall’altro, trasforma l’ipnosi in un bene di consumo, spesso standardizzato e svuotato della sua profondità originaria.
Pensiamo ai corsi online di ‘ipnosi per il successo’ o ai video su YouTube che garantiscono di ‘attirare ricchezza’ con tecniche suggestive: qui l’ipnosi si piega alla logica capitalistica del self-help, un’industria che vende l’illusione di controllo personale in un sistema economico che, in realtà, lo limita.
Inoltre, l’ipnosi ha un impatto indiretto sull’economia attraverso la sua influenza sulla produttività.
Aziende sempre più attente al benessere dei dipendenti iniziano a integrare pratiche ipnotiche nei programmi di formazione, con l’idea che una forza lavoro meno stressata e più concentrata sia più efficiente.
Si tratta di un investimento che, tuttavia, può essere letto anche come un tentativo di ottimizzare l’essere umano, rendendolo una macchina ancora più performante al servizio del profitto.
In questo senso, l’ipnosi economica odierna oscilla tra emancipazione e sfruttamento, tra il desiderio di liberare l’individuo dalle sue catene interiori e la tendenza a incatenarlo ulteriormente a logiche di mercato.
Sul piano politico, assume una dimensione ancora più complessa, intrecciandosi con il potere, la propaganda e il controllo sociale.
Storicamente, l’idea di usarla per influenzare le masse non è nuova: durante la Guerra Fredda, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica sperimentarono tecniche di controllo mentale, spesso mitizzate in programmi come MK-Ultra.
Oggi non abbiamo bisogno di cospirazioni fantascientifiche per vedere l’ipnosi politica in azione: basta guardare alla retorica dei leader populisti, alle campagne elettorali basate su messaggi ripetitivi ed emozionali o alla polarizzazione indotta dai social media.
L’ipnosi, in questo contesto, non è una tecnica esplicita, ma un meccanismo implicito: la ripetizione di slogan, la creazione di nemici comuni, l’uso di narrazioni semplici per spiegare realtà complesse sono tutte forme di suggestione che catturano l’immaginario collettivo.
In un mondo dove la fiducia nelle istituzioni è in crisi, l’ipnosi politica diventa uno strumento per colmare il vuoto, offrendo certezze illusorie a popolazioni disorientate.
Pensiamo ai movimenti antiscientifici o alle teorie del complotto: non sono forse il risultato di una sorta di trance collettiva, in cui la razionalità cede il passo a narrazioni suggestive?
Allo stesso tempo, l’ipnosi ha un potenziale democratico: tecniche di visualizzazione e autoipnosi vengono usate da attivisti per motivare le persone, rafforzare la resilienza e mobilitare comunità intorno a cause comuni, come la giustizia climatica o i diritti civili.
Qui emerge un paradosso: l’ipnosi può essere sia uno strumento di oppressione che di liberazione, a seconda di chi la usa e per quali fini.
In un’epoca di crescente autoritarismo digitale, dove governi e corporation monitorano e influenzano i comportamenti su scala globale, la domanda diventa: chi controlla l’ipnotista?
La risposta non è chiara, ma il rischio di una ‘tecnocrazia ipnotica’ – un sistema in cui il potere usa la suggestione per anestetizzare il dissenso – è una possibilità che non possiamo ignorare.
Veniamo ora all’impatto sulla cultura contemporanea, dove l’ipnosi si manifesta in modi tanto affascinanti quanto ambivalenti. Nella cultura pop, l’ipnosi è un trope ricorrente: film come ‘Inception’ o serie come ‘The OA’ ne esplorano il potenziale narrativo, presentandola come una porta verso l’inconscio, un mezzo per svelare verità nascoste o manipolare la realtà.
Questo riflette una fascinazione collettiva per l’idea di accedere a dimensioni profonde della mente, un tema che risuona in un’epoca ossessionata dall’interiorità e dall’autenticità.
Ma l’ipnosi culturale va oltre la fiction: è nei rituali quotidiani, come il binge-watching di serie TV che ci tiene incollati allo schermo in uno stato di trance leggera, o nell’estetica ipnotica di video su TikTok, con i loro loop visivi e sonori che catturano l’attenzione in pochi secondi.
È nella musica, con generi come l’ambient o la trap che usano ritmi ripetitivi per indurre stati di rilassamento o euforia. È nell’arte contemporanea, dove installazioni immersive giocano con la percezione e invitano lo spettatore a ‘lasciarsi andare’.
Tutto questo suggerisce che la cultura contemporanea sia intrisa di un’estetica ipnotica, una ricerca di esperienze che ci estranino dal reale pur restando radicate nel quotidiano.
Eppure, c’è un rovescio della medaglia: l’ipnosi culturale può diventare una forma di escapismo, un modo per evitare di affrontare le complessità del mondo.
In un’epoca di crisi climatica, disuguaglianze crescenti e instabilità politica, l’ipnosi – sia come pratica che come metafora – rischia di trasformarsi in un anestetico, un sogno indotto che ci distrae invece di svegliarci.
D’altro canto, ha anche un potenziale trasformativo: artisti, scrittori e pensatori usano l’ipnosi per esplorare nuove forme di coscienza, per immaginare futuri alternativi, per riscrivere le narrazioni dominanti.
Pensiamo al movimento Afrofuturist, che mescola suggestioni ipnotiche con visioni speculative per guarire i traumi del passato e costruire un domani inclusivo.
O ai collettivi queer che usano performance ipnotiche per decostruire norme di genere. In questo senso, l’ipnosi culturale non è solo passiva, ma attiva, un atto di resistenza che sfida il presente.
Tornando al significato più ampio, l’ipnosi oggi è uno specchio della condizione umana: rivela il nostro desiderio di controllo e la nostra paura di perderlo, la nostra sete di connessione e la nostra vulnerabilità alla manipolazione.
Sociologicamente, risponde a un bisogno di ordine in un mondo disordinato; economicamente, si piega alle logiche del mercato pur offrendo spiragli di benessere; politicamente, oscilla tra dominio e liberazione; culturalmente, è un ponte tra realtà e immaginazione.
Nel 2025, con l’intelligenza artificiale che avanza e le frontiere tra mente e macchina che si assottigliano, potrebbe evolversi ulteriormente, diventando forse una chiave per comprendere non solo noi stessi, ma anche le tecnologie che ci circondano.
Immaginiamo un futuro in cui l’ipnosi si fonda con la realtà virtuale, creando esperienze che riscrivono la percezione del tempo, dello spazio e dell’identità: sarebbe una rivoluzione o una distopia?
La risposta dipende da noi, dalla nostra capacità di usare l’ipnosi non come fuga, ma come strumento di consapevolezza.
Per ora, resta un fenomeno sfaccettato, un enigma che ci sfida a guardare dentro e fuori di noi, a interrogarci su chi siamo e su chi vogliamo essere in un mondo che, come una seduta ipnotica, ci tiene sospesi tra sogno e veglia.

Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.