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Simone e le donne

1975


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Riproposto a Frattamaggiore il monologo-tributo di Gigliola De Feo

Ieri 20 febbraio, ore 20:00, presso il TAV – Teatro Animazione Visioni di Frattamaggiore, Napoli, abbiamo avuto il piacere di assistere all’originale pièce ‘Simone che credeva nelle donne di e con Gigliola De Feo, liberamente ispirata alle opere della grande intellettuale francese Simone de Beauvoir, per la regia di Andrea Fiorillo, prodotto dalla scuola di recitazione ‘La Falegnameria dell’attore’ con Miramarefilm.

In scena, un’emozionante ed intensa Gigliola De Feo perfetta in tutto: dalla postura allo sguardo, dalla comunicazione verbale a quella non verbale e paraverbale.

Gigliola ci porta nell’universo della filosofa e scrittrice francese, esponente dell’esistenzialismo, per raccontare la sua visione della vita, le battaglie al femminismo, la continua lotta della donna nel tentativo di auto-affermazione ed affrancamento dalla mentalità maschilista, chiusa e borghese che, per certi versi, permea ancora l’esistenza odierna. Un’operazione non facile quella della De Feo, che riesce in pieno.

In un monologo di circa 50 minuti, intervallato da puntuali voci fuori campo di Andrea Fiorillo e di tre allievi della scuola di recitazione, Maria Teresa Iannone, Gabriele Savarese e Federico Siano, da soavi canzoni francesi e da una bellissima musica di piano, l’attrice sviscera le tematiche tanto care alla letterata attraverso un dialogo immaginario con Jean-Paul Sartre cui era legata da un solido, ma non esclusivo rapporto sentimentale, fruttuoso per entrambi dal punto di vista professionale e basato su una profonda stima intellettuale. In lui troverà quasi un alter-ego, uno specchio con cui confrontarsi di continuo, condividere pensieri e passioni senza scendere a patti con la propria femminilità.

La presenza del compagno aleggia sul palco attraverso un corretto gioco di luci e gli occhiali posizionati sul pavimento sopra dei fogli.
La scenografia è composta anche da uno scrittoio ricolmo di libri, da una toletta d’epoca, da uno sgabello seduta sul quale Gigliola si truccherà e pettinerà a più riprese, mentre a terra ci sono una macchina da scrivere circondata da pagine dei suoi testi.
La coesistenza dei due aspetti di Simone, quello di donna ed intellettuale, balza subito all’occhio.

Non si può non pensare alla descrizione che l’autrice fa di sé nel romanzo ‘La forza delle cose’:

Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un’eccentrica. […] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel ’45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc.

Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un’istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. […] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. […]

L’essenziale è presentarmi come un’anormale.

Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un’altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente.

In questo contesto, il riferimento letterario a ‘Una stanza tutta per sé’ di Virginia Woolf, serve proprio a rafforzare la rivendicazione, per il genere femminile, della possibilità di accesso alla cultura, a decostruire il linguaggio patriarcale in ambito letterario e sociale.

La De Feo ci mostra la personalità affascinante e carismatica di Simone, altamente ammirata ed aspramente criticata per le sue prese di posizione, per il suo carattere forte e per le sue idee progressiste. Quello messo in scena da Gigliola è l’inno di Simone alla Libertà in tutte le accezioni possibili.

Libertà intellettuale della donna attraverso l’educazione all’ambizione e non alla modestia, uguaglianza reale tra i generi in base alle stesse opportunità concesse affinché anche alle donne sia permesso raggiungere gli stessi risultati degli uomini e nell’importanza di un loro ruolo sociale al di là del matrimonio. Libertà come consapevolezza di sé e del mondo.

Non mancano le inquietudini e le incertezze adolescenziali descritte nell’altro bellissimo romanzo autobiografico, ‘Memorie di una ragazza perbene’, che porteranno Simone alla rottura con la religione cattolica, il suo anticonvenzionalismo, il rifiuto dell’idea del matrimonio, la totale dedizione allo studio, la ricerca di un proprio posto nel mondo.

Così come sono onnipresenti le considerazioni filosofiche ed esistenzialiste volte all’analisi del ruolo e della condizione della donna nella società moderna, trattate in modo solo apparentemente leggero e con un linguaggio che non fa giri di parole, ma che va dritto all’essenziale.

E, immancabilmente, arriva il passaggio su ‘Il secondo sesso’, uno dei saggi più incisivi della scrittrice, opera fondamentale per il movimento femminista. È sempre Simone nel suo dialogo irreale con Jean-Paul che, con parole chiave, rimanda al testo, esponendo da un punto di vista psicanalitico e di materialismo storico, la condizione di subordinazione della donna nei confronti dell’uomo, l’errata convinzione della sua inferiorità e la conseguente scelta di sposarsi rinunciando alla propria carriera. Viene costantemente ribadita la necessità dell’integrazione della donna nella società con gli stessi diritti civili, politici e giuridici, così come la possibilità del controllo delle nascite.

La De Feo giunge, in tal modo, alla spinosa e delicata tematica dell’aborto, uno dei momenti più significativi della rappresentazione, attraverso la descrizione di Simone in tribunale interrogata nel processo per aborto clandestino celebrato a Bobigny, periferia di Parigi, nel 1972.

Il pensiero va al ‘Manifesto delle 343’, una dichiarazione firmata appunto da 343 donne che ammettevano di aver interrotto la gestazione, esponendo se stesse alle relative conseguenze penali.

Il manifesto, ricordiamo, apparso nel 1971 sulla rivista ‘Le Nouvel Observateur’, diede l’impulso a 331 medici a sottoscrivere, nel 1973, un documento in supporto dell’aborto e contribuì notevolmente all’adozione, nel dicembre 1974-gennaio 1975, della ‘Legge Veil’ sull’interruzione di gravidanza entro le prime dieci settimane, poi estese a dodici.

E quasi alla fine della pièce, forse la più toccante interpretazione della De Feo, il racconto del tormento di Simone che narra della cara amica Elizabeth Lecoin, morta a soli 20 anni. Straziata dal rifiuto e dalla condanna della madre che ha scoperto la sua relazione con un uomo sposato che la lascia per evitare lo scandalo, la ragazza esce nuda in strada d’inverno e muore di freddo. Simone si chiede, attraverso il testo scritto da Gigliola, se veramente ci si possa permettere di condannare un amore “sbagliato”, colpevole di violare le regole della consuetudine imposte da un contratto scritto.

Rabbia, indignazione, denuncia, sgomento, sofferenza sono i temi preponderanti di questo commovente monologo in cui scaturisce tutta la capacità attoriale di Gigliola De Feo che riesce a trasmettere, in modo sublime, un insieme tanto variegato di emozioni.

Un spettacolo, ‘Simone che credeva nelle donne’, a tratti struggente, critico e disincantato, ma anche pieno di speranza, che consigliamo vivamente.

Il prossimo appuntamento è per stasera, 21 febbraio, ore 18:00, presso il TAV – Teatro Animazione Visioni di Frattamaggiore, Napoli.

Per info e prenotazioni: 334 82 63 852

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.